The Donald ci ripensa: meno sindacati (più banchieri)
Donald Trump è stato eletto presidente dall’ex ceto medio bianco impoverito e sottoproletarizzato (ha votato per lui anche quasi il 40 per cento degli iscritti alle unions) deluso dai democratici, accusati di aver rinunciato a proteggere i deboli dalle asprezze del mercato globalizzato. Trump aveva promesso di andare controcorrente: rivincita per i lavoratori e Wall Street con le spalle al muro. Trump campione della riduzione delle diseguaglianze? Certo, veniva replicato a chi diffidava: lui ha fatto fortuna col mattone, una cosa concreta, ed è a suo agio più coi muratori e carpentieri dei suoi cantieri che nel mondo della finanza. Sono bastati pochi giorni per spazzare via promesse, suggestioni e impegni: governo zeppo di miliardari e finanzieri mentre i sindacati, già in profonda crisi, temono ora di essere addirittura spazzati via. L’attacco di Trump contro un sindacalista che ha messo in dubbio l’efficacia del suo salvataggio di posti di lavoro alla Carrier,
un’azienda dell’Indiana, non promette niente di buono, visto che il neopresidente ha preso di mira il meccanismo di raccolta delle quote versate dai lavoratori ai sindacati aprendo la porta a un attacco del Congresso a maggioranza repubblicana su questo fronte. Ma il segnale più pesante Trump lo ha mandato nominando al ministero del Lavoro Andrew Puzder, manager strapagato di grandi catene di fast food assai poco generoso con le retribuzioni dei suoi dipendenti e noto per la sua feroce opposizione all’aumento del salario minimo orario e a ogni altra protezione sociale per i lavoratori. Una campana che suona a morto per il sindacato. Anche Ronald Reagan, arrivando alla Casa Bianca 35 anni fa, era stato duro. Ma allora le unions erano molto più forti. Ora sono ridotte al lumicino nel settore privato (rappresentano appena il 7% dei lavoratori), mentre nel pubblico impiego la roccaforte più importante, la scuola, è minacciata da un’altra scelta di Trump: la nomina di Betsy DeVos a ministro dell’Istruzione. La DeVos, una miliardaria, è una grande fan della privatizzazione delle scuole.