La ciclista di Bagdad
Marina Jaber, 25 anni, pittrice, ha rotto il tabù che (non solo) nella sua città vieta la bici al sesso femminile. Trovando uno stuolo di seguaci. Sui social e per la strada
tipo Shora, la spingono giù, le sgonfiano le gomme, la offendono. In un mercato di Adamya viene scattata la foto simbolo di questa rivoluzione femminista che vanta precedenti gloriosi. Le suffragette in America non giravano forse su due ruote? Dalle ragazze egiziane Dall’album di Marina Jaber (con due bambini nella foto grande): in alto, lo sguardo allibito di un uomo che la osserva al mercato (Instagram) di «Go Bike» al gruppo «Yalla Let’s Bike» di Damasco, un gruppo sparpagliato di coraggiose sta facendo della bicicletta il motore (la catena) di un autentico «empowerment», l’ingranaggio di un cambio epocale. Marina Jaber ha aperto la filiale irachena.
La foto simbolo: un uomo in sella guarda Marina che lo supera, la guarda esterrefatto come fosse un extraterrestre, il fantasma di Saddam. «Gli ho girato intorno quattro volte. Alla fine si è rimesso a fare le sue cose. La soluzione è la ripetizione, è quella che rende tutto normale».
È dura trovare normalità a Bagdad. La guerra è vicina, l’Isis è una minaccia, il maschilismo una costante. Ma qualcosa, qualcuno, si muove (su due ruote). Laurea in scienze dell’alimentazione, pittrice per vocazione, Marina ha fatto della bici una routine. «La uso ogni giorno, non faccio più caso agli sguardi». E non è più sola. Decine di ragazze si sono unite a lei lunedì per un giro in centro. La reazione della gente? «Gli unici commenti che abbiamo sentito: l’Iraq è sulla strada giusta».