Corriere della Sera

La ciclista di Bagdad

Marina Jaber, 25 anni, pittrice, ha rotto il tabù che (non solo) nella sua città vieta la bici al sesso femminile. Trovando uno stuolo di seguaci. Sui social e per la strada

- Michele Farina

tipo Shora, la spingono giù, le sgonfiano le gomme, la offendono. In un mercato di Adamya viene scattata la foto simbolo di questa rivoluzion­e femminista che vanta precedenti gloriosi. Le suffragett­e in America non giravano forse su due ruote? Dalle ragazze egiziane Dall’album di Marina Jaber (con due bambini nella foto grande): in alto, lo sguardo allibito di un uomo che la osserva al mercato (Instagram) di «Go Bike» al gruppo «Yalla Let’s Bike» di Damasco, un gruppo sparpaglia­to di coraggiose sta facendo della bicicletta il motore (la catena) di un autentico «empowermen­t», l’ingranaggi­o di un cambio epocale. Marina Jaber ha aperto la filiale irachena.

La foto simbolo: un uomo in sella guarda Marina che lo supera, la guarda esterrefat­to come fosse un extraterre­stre, il fantasma di Saddam. «Gli ho girato intorno quattro volte. Alla fine si è rimesso a fare le sue cose. La soluzione è la ripetizion­e, è quella che rende tutto normale».

È dura trovare normalità a Bagdad. La guerra è vicina, l’Isis è una minaccia, il maschilism­o una costante. Ma qualcosa, qualcuno, si muove (su due ruote). Laurea in scienze dell’alimentazi­one, pittrice per vocazione, Marina ha fatto della bici una routine. «La uso ogni giorno, non faccio più caso agli sguardi». E non è più sola. Decine di ragazze si sono unite a lei lunedì per un giro in centro. La reazione della gente? «Gli unici commenti che abbiamo sentito: l’Iraq è sulla strada giusta».

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