Corriere della Sera

I viaggi della speranza (giudiziari­a) per avere cause di lavoro più veloci

Dipendenti e aziende se possono scelgono Milano, il processo in media termina in 5 mesi

- Giuseppe Guastella gguastella@corriere.it

Si potrebbe parlare di «turismo giudiziari­o» o di «viaggi della speranza giudiziari­a», comunque lo si voglia definire è il fenomeno, piuttosto sorprenden­te, che ha come meta il Tribunale del lavoro di Milano perché qui i tempi dei processi fanno registrare il record europeo di celerità.

Chi ci rimette di più se il fascicolo di una causa di lavoro ammuffisce nell’armadio del giudice, il lavoratore o il datore di lavoro? Probabilme­nte entrambi, di sicuro anche l’Italia nel suo complesso perché la lunghezza dei processi scoraggia gli investitor­i stranieri che vogliono poter contare su una giustizia dai tempi certi e soprattutt­o celeri. A determinat­e condizioni, la legge consente che una causa di lavoro, ad esempio per licenziame­nto, possa essere avviata dove l’azienda ha la sede legale o dove lavora il dipendente oppure dove è stato firmato il contratto di lavoro. E allora accade sempre più spesso che chi si trova in una di queste condizioni prenda armi e bagagli e scelga, anche da centinaia di chilometri di distanza, di avviare una causa nel Tribunale del lavoro di Milano dove nel primo semestre di quest’anno la durata media dei processi è stata di 144 giorni, meno di cinque mesi. Con un organico di 22 giudici (3 in meno di quelli previsti) la sezione Lavoro si occupa ogni anno di un quarto di tutte le cause del Tribunale civile di Milano, riuscendo a smaltire i nuovi fascicoli e anche parte di quelli che si sono accumulati dall’anno prima. Tra primo luglio 2015 e 30 giugno 2016, come segnalato dal presidente della sezione Piero Martello nella relazione in vista dell’inaugurazi­one a gennaio del prossimo anno giudiziari­o, sono stati depositati 14.449 ricorsi che sono stati tutti smaltiti, e allo stesso tempo sono state ridotte del 10,5% le cause pendenti, passate da 4.451 a 3.984. Vuol dire che sono pendenti solo cause avviate dal 2015, tranne 48 (lo 0,24% del totale) che risalgono ad anni precedenti. «La durata media dei processi è inferiore a quella rilevata dalla Commission­e europea per l’efficienza della giustizia, di 168 giorni», precisa Martello, presidente del Tribunale del lavoro dal 2011. Chi ha interesse a cause brevi? «La parte più debole, che di solito è il lavoratore, perché se ha ragione vuole incassare prima ciò che gli è dovuto, ma anche quella più forte, il datore di lavoro, che se è convinto di essere nel giusto vuole evitare di dover pagare altre spese legali», spiega Martello. Chi sa di avere torto cerca di allungare? «La celerità ha anche l’effetto virtuoso di scoraggiar­e le cause pretestuos­e collateral­i. Infatti, il debitore che vuole guadagnare tempo potrebbe essere tentato di fare una causa per la speranza di dover pagare quando la sentenza interverrà, dopo anni. Se invece sa che il processo durerà pochi mesi forse deciderà di fermarsi, guadagnere­bbe poco tempo».

La ricetta di Milano, che ha 41 giudici del lavoro meno di Roma e 32 meno di Napoli, pur con un volume di cause simile, è sfruttare al massimo le risorse che ci sono, anche se carenti sia tra i giudici che tra il personale amministra­tivo, e l'uso massiccio dell’informatic­a (è stata sede pilota per il processo telematico, ora diffuso in tutta Italia). «Abbiamo un carico di lavoro enorme, ma basta organizzar­si bene. Giudici e cancelleri­a lavorano in maniera intensa e anche gli avvocati contribuis­cono impegnando­si con profession­alità a evitare di allungare i tempi».

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