Noi dannati della Bolognina
Roberto, operaio a 14 anni, ex Pci e Cgil, oggi fa le pattuglie contro i migranti «Spendiamo per loro e io campo con l’invalidità e i pacchi di sopravvivenza»
Al balcone della sua casa popolare, nel cuore tumultuoso della Bolognina, ha appeso il tricolore. «Prima noi italiani! Bravi i romani di San Basilio a reagire, io sto con loro!», dice d’un fiato. La radio, a tutto volume, si sente fin giù dalla strada: «È un trucco per quando esco: allontana ladri e abusivi. Questi animali mi hanno aggredito già tre volte in un anno... sulle scale, in cortile». Dice così, «animali». Ce l’ha con albanesi ed eritrei, cinesi, nigeriani e marocchini, insomma col mondo intero che gli pare minacciosamente acquartierato sul pianerottolo. «L’ironia di ‘sta storia è che mi danno del razzista», ghigna infine, cupo, Roberto Simonazzi, smilzo, baffetti al filo del labbro, 58 anni. Un’anima divisa in due.
Comunista «finché non hanno soppresso il partito», attivista Cgil, era in piazza nel ‘77 quando ammazzarono il giovane Francesco Lorusso. Adesso ha votato Grillo alle politiche e Lega al Comune: parla come Salvini. Nel bar dove ci incontriamo, prende un portacenere e un bicchiere, dice «Mi danno del razzista Non amo la Lega, ma chi devo votare? Qui è una bomba sociale» impreca. «Io non ce l’ho con gli stranieri, ma chi picchia e deruba un vecchio va annegato nell’oceano». Lui stesso è tra i destinatari dei pacchi di sopravvivenza, ultimo tra gli ultimi, meno di 600 euro al mese in tasca per pagare un affitto simbolico — la casa col tricolore è dell’Acer — più le bollette e la spesa, che simboliche non sono mai. «Per permettermi questo telefonino, 26 euro al mese, faccio pure il badante. Per fortuna sono felicemente single».
La svolta di Occhetto dell’89 si è consumata a poche strade da qui, in una sede comunale di via Tibaldi dove dal 2009 c’è un parrucchiere cinese, davanti ai partigiani che celebravano il 45esimo della battaglia della Bolognina. «Qui la battaglia è quotidiana, furti, spaccio dovunque, così ho messo in piedi il comitato». Già: verso sera, quando ha distribuito i pacchi agli indigenti e s’è portato il suo a casa, Roberto esce. Di ronda. «Non chiamatele ronde, ora basta». Con una quindicina di amici del comitato «passeggia» nel quartiere per scoraggiare i molti malintenzionati. L’ultimo assalto a un negozio l’ha patito un fotografo una settimana fa, nel ponte dell’Immacolata i colpi in appartamento si sono impennati. «Puntano solo gli italiani, per farci andar via», dicono qui. Chissà. Paola la parrucchiera, amica di Roberto e attiva in un altro gruppo di pattuglia, specifica: «Noi siamo armati solo di telefonino, quando vediamo cose storte diamo l’allarme, ma ci hanno tolto anche la caserma dei carabinieri di via Barbieri». Qui sono apparsi anche i Guardian Angels, il centro sociale è travolto dal malumore popolare ed è in procinto di sfratto. I famosi «militari nel quartiere» arrivati quando si parlava di «guerra tra bande» ormai sono ridotti a una camionetta che gira senza sosta e si fa vedere come deterrente. Dalle quattro di pomeriggio i pusher si lasciano vedere a loro volta, senza problemi, davanti ai bar; gli abitanti li filmano, fanno petizioni e denunce, nulla accade.
Daniele Ara, giovane e ragionevole presidente pd del quartiere Navile che ingloba anche la Bolognina, dice che sì, il problema vero è lo spaccio: «Le strade a rischio sono un quadrilatero, però, la Bolognina è molto più grande e la stiamo rilanciando». Non solo con luci a led. I progetti sono ambiziosi, ma la crisi ha frenato lo sviluppo della nuova area di Trilogia Navile, abbandonata ai tossici. E per replicare San Salvario, modello torinese di integrazione, mancano referenti affidabili dentro le comunità di stranieri. I referenti li ha trovati più agevolmente la ‘ndrangheta calabrese, che controlla i veri flussi di droga e usa gli immigrati africani come manovalanza.
«Ara è un bravo ragazzo e mi ha promesso cavalli bianchi al funerale se questi qua mi fanno fuori», ride cupo Roberto. È molto popolare nel quartiere, ne incarna sia pur in maniera sgangherata la rabbia che lo porta a dire truci insensatezze come «i romeni sono il popolo più cattivo». Ma i rischi non sono teorici, l’ultimo morto in un regolamento di conti l’hanno fatto quasi sotto casa sua. «Non amo la Lega ma chi devo votare? Mi hanno trasformato in un caso sociale dentro una bomba sociale». Quando le grandi fabbriche ora ridotte a scheletri, come la Casaralta o la Sasib, attraevano operai e sogni, la gente vide come invasori «i ferraresi prima ancora dei meridionali», raccontano qui. Sì, persino i ferraresi.
Poi, a mettere tutti d’accordo, arrivò una merce ormai sparita da queste strade: il progresso.
Bomba sociale