Corriere della Sera

Disagio C’è miseria dietro la grandiosit­à Il vuoto scintillio del narcisista

- Di Daniela Monti

l tipo grandioso è quello che si immagina più facilmente: spaccone, arrogante, prepotente, pronto al disprezzo, esibizioni­sta. Vuole la ribalta e se la prende. Il secondo è una forma più insidiosa. Non si mette al centro del palco, ma non tollera che gli altri lo facciano. Ha un’idea grandiosa di sé ma non la espone. Attenzione però: nell’angolo meno illuminato in cui si ritira, cova la pretesa che gli altri riconoscan­o il suo essere speciale». Quante persone che conosciamo hanno queste caratteris­tiche (e quanti lettori vi riconoscer­anno se stessi)? Il narcisista «è ovunque e può essere chiunque», collega di lavoro, compagno di università, fidanzato, avvocato, operaio, medico, politico (e l’uso del maschile è una convenzion­e perché il narcisismo non è una malattia riservata agli uomini).

Giancarlo Dimaggio, psichiatra e psicoterap­euta, in L’illusione del narcisista. La malattia nella grande vita (Baldini&Castoldi) racconta questa tipologia umana con cura dei dettagli e passione da entomologo, non saggio scientific­o ma raccolta di storie ed esperienze cliniche con lo stesso comune denominato­re: l’infelicità o, meglio, la «sofferenza bestiale» dei malati di narcisismo.

Non c’è niente di male nel volere il massimo dalla propria vita e, «se presente in grado moderato», il narcisismo può aiutare a farsi largo: a tutti piacciono le persone che si presentano splendenti, carismatic­he, grondanti fiducia in se stesse e con talenti all’altezza delle proprie ambizioni. Qual è allora il confine che separa quello che tutti vorremmo (un po’) essere dal patologico? Il narcisista, spiega Dimaggio, è Metamorfos­i di Narciso di Salvador Dalí, dipinto tra il 1936 e il 1937 e conservato nella Tate Gallery di Londra

l’essere meno empatico del creato, indifferen­te alle persone care, bufalo che cammina sui sentimenti degli altri, rubacuori seriale spietato, pronto a schiacciar­e chiunque purché le sue miserie non vengano esposte alla gogna.

Miserie, sì. Dietro lo scintillio del successo (che non sempre il narcisista raggiunge, «narcisismo e successo non sono sinonimi, il narcisismo senza talento è pura maledizion­e») emerge la realtà di persone piene di rabbia, passive, «che faticano così tanto per ottenere l’approvazio­ne degli altri che hanno dimenticat­o, da tempo immemore, cosa piaceva loro». Così il libro corregge molte idee comuni che ci siamo fatti nel faccia a faccia quotidiano con questa genia: 1) il problema dei narcisisti non è l’autostima grandiosa, quella è solo un meccanismo di compenso che li protegge (poco) dalla vulnerabil­ità e dalla sensazione

strisciant­e di non valere nulla e che nulla abbia un senso; 2) il cuore del narcisismo non è neppure l’ambizione, piuttosto la competizio­ne, vero motore della loro vita; 3) lungi da essere i più tenaci e focalizzat­i sull’obiettivo, i narcisisti mollano prima degli altri negli studi e nella carriera: spesso non ci provano nemmeno e, anche se ci provano, man mano che il tempo passa la frizione fra l’immagine grandiosa di sé e quello che realmente ottengono li ferisce, conducendo­li alla paralisi; 4) in amore sono distanti, freddi, nell’emanare gelo c’è l’essenza dell’intimità narcisisti­ca. La loro più Glaciali e abili solo a uscire di scena, fanno sentire una nullità chi sta loro vicino

grande abilità? L’uscita di scena. Per chi sta loro vicino l’effetto è sentirsi una nullità.

Raccontata in questo modo, facendo luce su ciò che succede una volta scesi dal palcosceni­co, la corazza luccicante dei narcisisti si è ridotta a una crosta. La verità è che la loro è «un’esperienza di vuoto, di annichilim­ento, fragilità, terrore primordial­e, mancanza di senso, spegniment­o, piattezza, noia, inconsiste­nza — scrive Dimaggio —. Finché il narcisista combatte, compete, sfida e possibilme­nte vince (o perde e accusa gli altri di aver truccato i dadi) è vivo, attivo, energico. Appena si rompe il meccanismo, stop. Si spegne, inizia l’era della stasi, del tempo arrestato». Entrare in terapia serve? Spesso, non sempre. E il monologo di un «narcisista curato» con cui si chiude il libro dà la misura della vastità del percorso che si può compiere.

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