Quel che resta di un mistero
Tutto, in Piero della Francesca, conduce verso un enigma simile ai suoi volti impenetrabili, nutriti di «calmo epos e storica gravità», come scrisse Roberto Longhi. Sappiamo poco della sua vita, ma soprattutto ci è rimasto «non più dell’otto o dieci per cento di quello che ha fatto», come ha più volte sottolineato Federico Zeri. Abbiamo infatti perso i grandi cicli pittorici di Piero realizzati a Ferrara e a Roma, così come le sue Storie della Vergine nel coro della chiesa di Sant’Egidio, a Firenze. Non restano che le testimonianze, quasi una beffa perché suonano come «opere senza volto»: possiamo immaginarle o andarle a cercare in qualche riproduzione dell’epoca. Ma questa singolare damnatio memoriae non riguarda solo Piero. Anche di Giotto conosciamo sì e no il cinque per cento; di Domenico Veneziano ci resta ancora meno, forse il due per cento. Ma perché queste opere sono scomparse? I motivi sono i più disparati. Un affresco poteva sparire per far posto ad un altro, oppure semplicemente perché era passato di moda, non piaceva più — come avvenne nel caso del coro della basilica di san Lorenzo a Firenze, lavoro del Pontormo, demolito nel 1600. Per realizzare il Giudizio Universale di Michelangelo in Vaticano, vennero distrutti preziosi lavori del Perugino e della sua cerchia. Ogni epoca percepisce l’arte in un modo diverso: a volte certe cose ci sembrano «datate» mentre quelle stesse cose, in un periodo di riscoperta, resuscitano davanti ai nostri occhi e allora ci mettiamo a cercarle, maledicendo chi le ha distrutte. Lo stesso Polittico della Misericordia di Piero, del quale arriva a Milano la parte centrale, venne smembrato nel XVII secolo ed è quasi un miracolo che i vari pezzi siano sopravvissuti, perché in questi casi spesso cominciava la dispersione delle singole parti. Che cosa ci dice allora questo mondo così dissipato di Piero della Francesca? Oggi pare quasi un monito: bisogna cercare di affinare lo sguardo e non prendere con superficialità nulla, nemmeno quelle espressioni che ci sembrano vecchie e superate, perché in tempi come i nostri, che vivono di rivisitazioni e revival, ogni cosa può tornare ad avere una seconda vita.