Tedeschi da ridere
L’autrice Maren Ade: «In Germania manca il senso dell’umorismo? Io provo a ribaltare gli stereotipi»
«È la prima volta che un film realizzato da una donna vince questo premio e siamo nel 2016». Ma Maren Ade sabato sera, vincendo a man bassa gli Efa 2016 con Vi presento Toni Erdmann (miglior film, miglior regia, sceneggiatura, attrice e attore, Sandra Hüller e Peter Simonischek) ha ribaltato anche un altro stereotipo. Il suo - che da noi uscirà il 23 febbraio per Cinema - è un film che fa ridere. Una tragicommedia, la definisce la stampa tedesca, la prima a sottolineare come le risate, sebbene condite da un retrogusto amaro e malinconico, non siano proprio un vanto nazionale.
«Non credo esista un senso dell’umorismo tedesco, io ho il mio». Lo ha ereditato dal padre, di professione insegnante, ha spiegato. «Grazie per aver sempre scherzato con me» lo ha ringraziato sabato sera durante la cerimonia la regista che nel 2009 vinse alla Berlinale con Everyone Else.
Vi presento Toni Erdmann è il suo terzo film. Ci ha messo quasi due anni a scriverlo, un anno a girarlo, circa cento ore di girato. Se lo è anche prodotto e, dunque, si è concessa una durata fuori dall’ordinario: 2 ore e 40. Protagonista è Ines, quarantenne in carriera in Romania dove lavora come consulente di una società petrolifera. La visita inaspettata a Bucarest del padre settantenne Winfried, ribalta la sua routine e il suo equilibrio. Lui la trova troppo seria, troppo concentrata sul lavoro, vuole farle tornare il buon umore: fa il buffone, si maschera con parrucca con lunghi capelli neri e denti finti («Questo sì uno spunto autobiografico: erano un gadget che mi diedero a una proiezione e io li regalai a mio padre. Ogni tanto se li metteva, magari al ristorante, per farci ridere»). Si inventa un’identità fittizia - Toni Erdmann appunto - per mescolarsi, come uno stalker, negli ambienti che lei frequenta. Le chiede: «Sei felice?». La mette in imbarazzo. Il tutto è condito da scene di comicità pura accolte a Cannes con risate fragorose e applausi a scena aperta. Come la festa con i colleghi d’ufficio organizzata da lei che si trasforma in un «naked party». O quando Ines duetta, insieme a Winfried, davanti a sconosciuti. Anche una scena di sesso con un collega vira presto sul ridicolo.
«Molto l’ho inventato - ha raccontato la regista - il film è su una famiglia, e quando scrivi di una famiglia non puoi evitare di riferirti alla tua, visto che è quella che conosci meglio. Avevo paura che mio padre non l’avrebbe trovato divertente ma gli è piaciuto».
Nata a Karlsruhe, quarant’anni compiuti proprio oggi, due figli, Maren Ade si appresta a usare il successo raccolto a Wroclaw come trampolino di lancio per gli Oscar 2017: il suo, scelto per rappresentare la Germania, e già vincitore del Premio Lux 2016, è uno dei favoriti nella corsa a miglior film straniero. Una bella rivincita dopo la delusione al festival di Cannes, dove, dato per certo nel palmarès, non vinse nulla. In compenso ha ricevuto l’incoronazione dai Cahièrs de cinema che l’ha eletto miglior film del 2016.
Una storia privata ma, a suo modo, politica: la Romania delle violente contrapposizioni sociali e del neoliberismo dove lavora Ines è quanto di più lontano dai raggi del sol dell’avvenire sognati dalla generazione di suo padre. Si ride, è vero, ma ci si sente a disagio. «È un dramma dove si ride molto», ha sintetizzato lei.