L’Isis e la guerra che ci eravamo scordati
Ah sì, poi ci sarebbe l’Isis. Ce l’eravamo scordati. Così impegnati nella guerricciola santa dei nostri referendum, tra un appassionante dibattito sull’Italicum e una riflessione italocentrica sugli editoriali dell’Economist, ci eravamo distratti. Ci siamo cullati, nel vuoto ipnotico delle nostre discussioni, che là fuori, tra morti, decapitazioni, donne violentate e uccise in massa, popoli e fedi perseguitati, tutto si fosse dissolto. Che il Bataclan fosse un anniversario da celebrare come il reperto di una storia tragica, ma finalmente chiusa, che i «lupi solitari» si fossero addormentati per sempre. «Mosul quasi riconquistata»: ma non era (ancora) vero. Oggi si apprende che Raqqa, sull’orlo della resa Isis, è ancora inespugnata. Che le forze anti-Isis han rallentato. Che Palmira rischia di essere ripresa dagli sgozzatori fanatici e devastatori del nostro patrimonio culturale. Che in Turchia c’è stata un’altra strage (nel silenzio sbadigliante del mondo intero, compreso quello dell’amico di Putin che sta per traslocare alla Casa Bianca). Che una cattedrale copta al Cairo è lo scenario di una nuova, spaventosa carneficina («ma non è una guerra di religione!»). Che Aleppo, come ha scritto Lorenzo Cremonesi su queste pagine, è diventata una nuova Srebrenica, dove i civili ammazzati dal nostro alleato Assad, massacratore di circa 250 mila suoi connazionali in pochi anni, aumentano senza sosta, con l’aiuto della Russia, degli iraniani, degli Hezbollah che si preparano a puntare le loro bombe contro lo Stato di Israele. La storia non si è fermata, mentre noi stavamo allestendo quella parodia di guerra civile sulle sorti del Cnel. Noi vorremmo che si fermasse per sempre. Noi vorremmo poter dire che è stato un incubo passato, e che il risveglio ci ha strappati dalle nostre paure. Noi vorremmo archiviare l’idea che la guerra santa abbia smesso di seminare il terrore sul lungomare di Nizza o in una discoteca della Florida, o davanti a un ristorante cambogiano di Parigi, o all’aeroporto di Bruxelles. Vorremmo che davvero Mosul fosse sul punto di essere conquistata, che a Palmira sventolassero le bandiere della pace e dei beni della cultura e dell’arte riconsegnati all’umanità. Ma abbiamo difficoltà a misurarci con la realtà. E a fare attenzione sempre, anche quando i morti sono lontani, e non nel cuore delle nostre città. E a capire che cosa vogliono quei fanatici scatenato contro il nostro «stile di vita» peccaminoso.