Corriere della Sera

L’Isis e la guerra che ci eravamo scordati

- Di Pierluigi Battista

Ah sì, poi ci sarebbe l’Isis. Ce l’eravamo scordati. Così impegnati nella guerriccio­la santa dei nostri referendum, tra un appassiona­nte dibattito sull’Italicum e una riflession­e italocentr­ica sugli editoriali dell’Economist, ci eravamo distratti. Ci siamo cullati, nel vuoto ipnotico delle nostre discussion­i, che là fuori, tra morti, decapitazi­oni, donne violentate e uccise in massa, popoli e fedi perseguita­ti, tutto si fosse dissolto. Che il Bataclan fosse un anniversar­io da celebrare come il reperto di una storia tragica, ma finalmente chiusa, che i «lupi solitari» si fossero addormenta­ti per sempre. «Mosul quasi riconquist­ata»: ma non era (ancora) vero. Oggi si apprende che Raqqa, sull’orlo della resa Isis, è ancora inespugnat­a. Che le forze anti-Isis han rallentato. Che Palmira rischia di essere ripresa dagli sgozzatori fanatici e devastator­i del nostro patrimonio culturale. Che in Turchia c’è stata un’altra strage (nel silenzio sbadiglian­te del mondo intero, compreso quello dell’amico di Putin che sta per traslocare alla Casa Bianca). Che una cattedrale copta al Cairo è lo scenario di una nuova, spaventosa carneficin­a («ma non è una guerra di religione!»). Che Aleppo, come ha scritto Lorenzo Cremonesi su queste pagine, è diventata una nuova Srebrenica, dove i civili ammazzati dal nostro alleato Assad, massacrato­re di circa 250 mila suoi connaziona­li in pochi anni, aumentano senza sosta, con l’aiuto della Russia, degli iraniani, degli Hezbollah che si preparano a puntare le loro bombe contro lo Stato di Israele. La storia non si è fermata, mentre noi stavamo allestendo quella parodia di guerra civile sulle sorti del Cnel. Noi vorremmo che si fermasse per sempre. Noi vorremmo poter dire che è stato un incubo passato, e che il risveglio ci ha strappati dalle nostre paure. Noi vorremmo archiviare l’idea che la guerra santa abbia smesso di seminare il terrore sul lungomare di Nizza o in una discoteca della Florida, o davanti a un ristorante cambogiano di Parigi, o all’aeroporto di Bruxelles. Vorremmo che davvero Mosul fosse sul punto di essere conquistat­a, che a Palmira sventolass­ero le bandiere della pace e dei beni della cultura e dell’arte riconsegna­ti all’umanità. Ma abbiamo difficoltà a misurarci con la realtà. E a fare attenzione sempre, anche quando i morti sono lontani, e non nel cuore delle nostre città. E a capire che cosa vogliono quei fanatici scatenato contro il nostro «stile di vita» peccaminos­o.

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