Corriere della Sera

PECHINO E TAIWAN LA STORIA DI DUE CINE

- Fabrizio Amadori fabrizio_amadori@yahoo.it

Il governo cinese ha tirato le orecchie al presidente eletto statuniten­se Donald Trump perché avrebbe risposto a una telefonata di congratula­zioni della presidente di Taiwan, un piccolo Paese, ma ricco e sviluppato. Pechino, si sa, rivendica da tempo il possesso di quell’isola-Stato. Non stupisce più che i cinesi reagiscano; stupisce invece che gli Stati Uniti sostengano militarmen­te un Paese come Taiwan che formalment­e non riconoscon­o da decenni, al punto da esporsi moltissimo con la seconda potenza economica (e militare?) mondiale. Mi può aiutare a capire se diplomazia, soprattutt­o in casi come questo, faccia rima con ipocrisia?

Caro Amadori,

Non credo che esistano rischi particolar­i. Dopo la nascita della Repubblica popolare cinese nel 1949, gli Stati Uniti riconobber­o formalment­e l’esistenza di una Cina in esilio nell’isola di Formosa (come era stata chiamata dai portoghesi nel XVI secolo) e le permisero di avere un seggio permanente al Consiglio di sicurezza sino a quando sperarono di potere isolare e indebolire il regime comunista di Pechino. Quando la guerra del Vietnam, l’influenza di Henry Kissinger su Richard Nixon e il consolidam­ento della Repubblica popolare indussero Washington a modificare la propria linea, fu subito chiaro che la Cina continenta­le, sostenuta da altri Paesi, avrebbe preteso

LINGUAGGIO TRIVIALE

il seggio del Consiglio di sicurezza. Dopo qualche iniziale resistenza, gli Stati Uniti permisero che una mozione dell’Onu, nell’ottobre del 1971, privasse Taiwan del suo seggio. Conservaro­no fino al 1978 il Patto di reciproca sicurezza che avevano stipulato con Taiwan nel 1954 e lo denunciaro­no soltanto quando decisero di stabilire con Pechino rapporti stabili e formali nel 1978. Ma non smisero, anche negli anni seguenti, di trattare l’isola come un alleato, di proteggerl­a con la Settima flotta e di garantirle forniture militari che l’avrebbero difesa da un attacco improvviso.

I cinesi furono realisti e capirono che non sarebbe stato né semplice né opportuno impadronir­si di Taiwan con un colpo di mano. Naturalmen­te la loro politica cambierebb­e se il nuovo presidente americano modificass­e sostanzial­mente la linea degli Stati Uniti. Ma ho l’impression­e che per il momento si tratti soltanto di schermagli­e e improvvisa­zioni nello stile di Donald Trump. Aggiungo soltanto una curiosità. Negli ultimi decenni Taiwan ha perduto il riconoscim­ento internazio­nale delle maggiori potenze e, più recentemen­te, anche quello della Santa Sede, a cui preme soprattutt­o stabilire rapporti formali con Pechino. Ma l’isola è ancora riconosciu­ta come Cina da un nugolo di piccoli e piccolissi­mi Stati fra cui, salvo mutamenti degli ultimi tempi, sei in Oceania, tre in Africa, sei nell’America centrale, cinque nei Caraibi e uno nell’America del Sud (Paraguay).

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy