«Perché ho deciso di restare»
Il commissario: la mia non è una missione politica
C’è un ufficio al primo piano di Palazzo Chigi che ha rischiato, tra i timori di alcuni e le speranze di altri, di chiudere con la crisi di governo. È l’ufficio di Diego Piacentini, 56 anni, milanese di Seattle, l’uomo che nella Pubblica amministrazione in qualità di commissario alla guida del Team per la trasformazione digitale ha «licenza di uccidere» come aveva detto Matteo Renzi, l’ex premier che lo aveva convinto a lasciare, per l’Italia, Jeff Bezos e la vicepresidenza di Amazon. «Devo essere sincero la domanda, tornare a Seattle o meno, mi è passata per alcuni secondi dentro la testa. Ma è durata poco perché la risposta è ovvia: la trasformazione digitale e la semplificazione della Pubblica amministrazione non devono avere colore politico e non devono dipendere da chi è al governo». Ha votato al referendum?
«Sì, dall’estero».
Il risultato del referendum è stato motivo di delusione?
«Sì, è innegabile: vedevo questa come un’opportunità di cambiamento, ma non è l’unica che abbiamo. Sono anche responsabilizzato da quello che stiamo facendo. Abbiamo l’opportunità di aiutare il Paese a cambiare, indipendentemente dalle riforme costituzionali o di altro tipo».
Non è quello che pensano in molti in Italia: il pensiero diffuso è che l’innovazione sarà anche importante, ma con tutti i problemi che abbiamo, banche, costituzione, lavoro, legge elettorale, l’innovazione può attendere...
«Ma non solo è importante: è imprescindibile. Non vedo come si possa in ogni caso migliorare e semplificare in assenza di tecnologia e digitalizzazione. Non riesco nemmeno a capirla la domanda, è sbagliata. Chi se la fa pensa che si possa costruire la casa senza pensare a come mettere l’elettricità».
C’è chi dice che lei si sia incontrato con Renzi il quale le avrebbe detto: rimani, tanto io torno al governo.
«Ci siamo sentiti, non incontrati. Gli ho fatto la domanda ovvia e cioè se dovevo continuare e lui mi ha detto sì vai avanti. Siamo stati brevi». E con il premier Gentiloni?
«Ci siamo sentiti brevemente per dirci che procediamo».
Quando Renzi ha detto a Beppe Severgnini “Piacentini ha licenza di uccidere” intendeva dire che ha un mandato politico molto forte perché se la burocrazia è l’ufficio complicazioni affari semplici e la tecnologia l’ufficio semplificazioni affari complicati è chiaro che la seconda attaccherà la prima, che si difenderà... «Abbiano corretto licenza di uccidere con licenza di decidere».
Il senso politico è uguale.
«È vero ma, con tutta franchezza, di ostacoli interni non ne ho trovati a prescindere da inefficienze e difficoltà intrinseche legate al fatto che spesso la struttura pensa alla norma prima che ai cittadini».
Che idea si è fatto in questi mesi: qual è il difetto più grande della Pa?
«Il problema della semplificazione tecnologica non è solo italiano, alcuni hanno iniziato prima a cambiare, ma il problema rimane ed è quello della scarsità di competenze tecnologiche. Il paradosso è che chi deve fare le norme tecniche non è tanto esperto quanto il mondo privato esterno. Dunque ci siamo ispirati dall’esperienza Usa, dove il Digital service della Casa Bianca con l’attrazione dei talenti dal privato è nato dal fallimento del sito dell’Obama Health Care Program. Peraltro molte aziende Usa hanno periodi di sabbatico per chi va a lavorare per il governo». Google lo ha introdotto anche qui, per voi.
«Sì, avremo una persona di Google nel nostro team, mi aspetto delle critiche per l’ingresso di un’altra azienda nel governo, ma bisogna guardare all’aspetto positivo».
Come spiegherebbe a un americano quello che sta facendo in Italia? «Riceviamo tante email: per esempio un commercialista ci ha scritto delle enormi difficoltà che ha con software della Pa che non dialogano tra loro. Non è un problema solo italiano: fino ad oggi si faceva la norma, si informatizzava il pezzettino della Pa e quando si passava al pezzetto accanto si ricominciava. Il processo deve essere supportato dalla ri-architettura dei software e dei dati. Lo so: non è sexy. Non stiamo costruendo, per ora, l’intelligenza artificiale della Pa. È il lavoro che si chiama plumbing, mettere i tubi. Devi creare le tubature altrimenti in casa non ci entri. Nel piccolo la piattaforma del bonus cultura è stata già rivoluzionaria, l’abbiamo usata anche per il bonus insegnanti. Non era mai successo: prima sarebbe stata fatta un’altra gara, scelto un altro fornitore. Ora trasformiamo i progetti in programmi. Prendiamo la fatturazione digitale: ho parlato con aziende che stanno pensando di non lavorare più con la Pa perché i sistemi non si integrano con i loro. È un errore pensare che una volta fatta non debba essere aggiornata alla versione 2.0. Ho vissuto 30 anni in due aziende, Apple e Amazon, e non ho mai visto il lancio di un primo prodotto o servizio che andasse subito bene, mai».
Nodo dell’Agid: non c’è il pericolo di uno scontro tra due soggetti che combattono per fare la stessa cosa?
«No, perché siamo consci di questa cosa. Può darsi che all’inizio ci vivessero così, ma ora ci stiamo integrando molto bene. Noi li stiamo aiutando molto e loro stanno spiegando a noi delle cose, sono esperti di valutazioni giuridiche. Ciò che gli manca è tanta gente con alte competenze tecnologiche». Una cosa da fare subito?
«Dobbiamo creare un sistema operativo della Pa con una comunità di sviluppatori e una logica mobile first: il programma per i 18enni 18app, nonostante il nome, era stato sviluppato solo per desktop». Lo Stato come la Apple. L’Italia ce la può fare?
«Sì».
Il referendum Ho votato e il No è stato una delusione. Ma la trasformazione non può avere un colore politico
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