Corriere della Sera

Gli sbagli e la fase due

- SEGUE DALLA PRIMA Pierluigi Battista © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

La trasparenz­a, il feticcio della trasparenz­a, il culto della trasparenz­a vissuto come rigenerazi­one della politica mortificat­a dalle ipocrisie dei vecchi partiti, sono precipitat­i nell’opacità dei vertici notturni a porte sigillate ad ascoltare le istruzioni di Beppe Grillo. «Onestà onestà», lo slogan fondativo che doveva segnare una linea di demarcazio­ne invalicabi­le con la pratica della politica affogata negli scandali, si è svuotato di ogni significat­o. Il «sacro blog», luogo della democrazia diretta, senza i filtri della politica tradiziona­le e prigionier­a del passato, o tace o diventa il palcosceni­co di uno psicodramm­a. Cadono tutte le icone di questi anni partiti fragorosam­ente con il V day di Bologna: il mito dello streaming appassisce, «l’uno vale uno» si svuota di significat­o, l’illusione che qualunque cittadino possa avere tra le mani le leve del potere pubblico svanisce. L’immagine di un mondo compatto ed energico che, galvanizza­to da Grillo e Casaleggio, fronteggia la vecchia politica tenendosi fuori dai suoi ritmi si sbriciola nel correntism­o, nel personalis­mo, nell’imitazione degli schemi più triti di quella stessa vecchia politica. E con Virginia Raggi che viene abbandonat­a al suo destino si sgretola anche la presunzion­e che il dilettanti­smo sia un potente antidoto contro il troppo cinico e affaristic­o profession­ismo della politica.

Gli avversari dei 5 Stelle commettere­bbero però un grave errore, anzi replichere­bbero un errore già commesso, se pensassero che la fine della fase propulsiva del movimento di Grillo significhi la fine tout court dell’esperienza 5 Stelle, e soprattutt­o della presa che ancora esercita ed eserciterà su una fetta cospicua dell’elettorato. Si illudono perché pensano che ogni voto deluso dei 5 Stelle andrà a loro: si sbagliano, la frattura è stata troppo netta, troppo radicale, troppo carica di veleni. Ma il movimento di Beppe Grillo non potrà più usare la retorica del «vinciamo noi!» dopo la disfatta di Roma. Dovrà capire che cosa non ha funzionato a Roma e che invece sta funzionand­o, al momento, con Chiara Appendino a Torino (la sindaca che infatti comincia a girare come possibile candidata premier in alternativ­a a Di Maio e Di Battista). Dovrà capire come si seleziona una classe dirigente che non sia solo l’avanguardi­a di una protesta di piazza e di un happening di opposizion­e, ma abbia gli strumenti per governare una società complessa e città complicati­ssime come Roma Capitale. Dovrà misurarsi con la democrazia interna al movimento, archiviand­o definitiva­mente l’idea totalitari­a che il leaderismo carismatic­o e la disinterme­diazione del web possano essere sufficient­i per chi aspira legittimam­ente a governare il Paese. Perché la democrazia, per una forza politica che non voglia essere una setta, anche se una grandissim­a setta, è l’ossigeno di un progetto politico che non voglia restare sconfitto nel minoritari­smo, e premia l’autonomia di pensiero e non l’obbedienza, la critica e non la fedeltà conformist­a. Il merito e non lo spirito gregario. Senza queste doti non si governa né Roma né l’Italia. Ne abbiamo avuto una prima prova.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy