Il lungo assedio a Virginia nel bunker L’ordine: Colomban sia il numero due
I vertici spingono per l’uomo di Casaleggio
Ha provato a resistere fino all’ultimo, nel bunker di Palazzo Valentini, mentre al Campidoglio andava in scena Suburra. Nel senso che, per quelle bizzarre coincidenze della storia, proprio lì si era stabilito il set della serie tv sul malaffare capitolino. Alla sette di sera, dopo cinque ore di trattative esterne con i vertici M5S e interne con i consiglieri comunali, Virginia Raggi china la testa, accettando i diktat del Movimento. Per salvare se stessa e la sua giunta da un tramonto inevitabile. Da lontano sorridono (ma non troppo) Beppe Grillo e soprattutto Davide Casaleggio, vero ispiratore di una soluzione non traumatica, preoccupatissimo di una rottura.
Il post mai pubblicato
Molte ore prima, alla mezzanotte di venerdì, la sindaca si barrica in Campidoglio, con i consiglieri riuniti al capezzale della giunta, come nel famoso video selfie. Quasi una veglia funebre, per una partita data quasi per persa. Perché dall’Hotel Forum giunge la notizia di una mannaia imminente: un post, già pronto, impaginato e firmato, con la revoca del simbolo. Ma il tasto «pubblica» non sarà mai premuto. Perché a quell’ora c’è il primo dei tanti colpi di scena: vanno online i giornali del mattino. Grillo e Casaleggio cercano la giudiziaria e tirano un sospiro di sollievo: non ci sono intercettazioni compromettenti con la Raggi. Così, si va al piano B, suggerito tra gli altri da Paola Taverna, ma non condiviso dagli ortodossi come Roberta Lombardi, Roberto Fico e Nicola Morra: un diktat, prendere o lasciare, con la rimozione da vicesindaco di Daniele Frongia, la cacciata e il ridimensionamento di Salvatore Romeo e di Renato Marra. Ma anche l’affiancamento di un pool di avvocati per verificare gli atti degli ultimi mesi e un cambio radicale dell’assetto della Comunicazione, anche e soprattutto dopo il tetro video selfie notturno.
Lo scontro su Frongia
La sindaca, alle due di notte, verifica la tenuta di un’eventuale maggioranza senza il simbolo. Verifica compiuta: «Ragazzi, non ce la facciamo». La notte si consuma nell’incertezza. Grillo riparte per Genova all’alba, dopo ore di telefonate con Casaleggio, stremato. La Raggi si sveglia presto. La notte pare abbia portato consiglio. Fa arrivare al quartier generale M5S il suo via libera. Con una condizione: «Ok, ma prima devo vedere i consiglieri». Si rifà un post e lo si mette in attesa.
Ma ecco un nuovo colpo di scena. La Raggi alza il telefono e richiama, con lo stesso tono che ha avuto in questi giorni, definito dalla controparte «algido»: «Ho cambiato idea, Frongia non si tocca». Dall’altra parte trasecolano. Speravano di aver vinto la sua resistenza, ma Virginia sembra non mollare mai. L’avviso di garanzia per la sindaca, però, è in arrivo e dato per certo, con la possibilità che le si chieda di autosospendersi. Il vicesindaco, a quel punto, ne assumerà le funzioni. Ma i vertici M5S vogliono un proprio uomo. E chi meglio di Massimo Colomban, uomo della Casaleggio associati, già imposto alle Partecipate? Lui, di fatto, diventerà il «sindaco ombra».
La seduta fiume
Raggi alle due del pomeriggio convoca i consiglieri di maggioranza a Palazzo Valentini, sede della Provincia. Fa melina, chiede ai consiglieri di votare, prende tempo. Continuano i contatti con l’esterno. I vertici M5S le fanno arrivare messaggi come: «Se non mandi via Frongia, vai a casa». Con tanto di penale da 180 mila euro, come prevede il contratto firmato all’atto dell’insediamento con la Casaleggio. Su piazza Venezia si addensano ombre cupe. Un’agenzia batte una frase della Raggi: «Non mi riconosco più nel Movimento». La smentita arriva subito. Ma intanto passa una Smart con una scritta che sembra premonitrice: «Ciao Roma».
L’epilogo
Raggi cede su Frongia: «Va bene, non sarà più vicesindaco, ma deve restare in giunta». E così il fedelissimo collaboratore, nonché amico di Marra, resterà in giunta: come assessore allo Sport, stessa materia destinata a Luca Lotti, braccio destro di Renzi, nel governo Gentiloni. Ma la battaglia non è finita. Perché Raggi prova a resistere anche su Colomban. Lei vuole Andrea Mazzillo, attuale assessore al Bilancio. Per sparigliare le carte, chiede che siano i consiglieri a votare per decidere. Grillo si infuria. Alle 18, il presidente dell’Assemblea capitolina Marcello De Vito esce da una porta laterale. È irritato: sperava di diventare La sindaca tratta al telefono con un tono che la controparte definisce «algido»
Va bene, Daniele Frongia non sarà più vicesindaco, ma deve restare con un ruolo all’interno della mia giunta Virginia Raggi Il tono «algido»
vicesindaco. E come lui Paolo Ferrara, altro «lombardiano» (nel senso di Roberta Lombardi). A De Vito non sono piaciute le parole della Raggi. Che si scusa con i consiglieri — «ho fatto degli errori» — ma attacca Carla Raineri. Colomban, salvo contrordine dell’ultima ora, è il predestinato.
Il post
Il «raggio magico» è decimato, le ultime resistenze vinte. Manca solo il timbro finale. Poco dopo le 20, Virginia Raggi abbandona Palazzo Valentini con un sorriso forzato. Alle 21.45, per la prima volta da giorni, Raggi e il Movimento parlano all’unisono. Il blog titola: «Barra a dritta e avanti tutta». Seguono 16 righe a firma Beppe Grillo e 10 a firma Virginia Raggi. Nelle prime le bacchettate: «Sono stati fatti degli errori che Virginia ha riconosciuto: si è fidata delle persone più sbagliate del mondo». Nelle seconde, l’annuncio della resa, mascherata da «cambiamento». Da domani, la Raggi non sarà più sola. Andrà avanti, scortata e controllata a vista.