Corriere della Sera

Sul nuovo governo critici due italiani su tre Il 48%: al voto subito

Renzi, pausa o ritiro per il 36% degli elettori pd

- @NPagnoncel­li di Nando Pagnoncell­i

Il governo Gentiloni parte in salita. Il clima incandesce­nte e le profonde divisioni della campagna referendar­ia non accennano a diminuire e ciò si riflette sui giudizi nei confronti del nuovo esecutivo. Due italiani su tre (65%) si dichiarano insoddisfa­tti, contro il 27% di soddisfatt­i. È un’insoddisfa­zione che si attesta tra l’80% e il 90% tra gli elettori dell’opposizion­e e prevale tra gli astensioni­sti e tra gli elettori di centro (due terzi). E anche tra gli elettori del Pd uno su quattro non sembra apprezzare la scelta.

D’altra parte il nuovo governo nasce all’insegna della continuità con il precedente, come è stato ribadito dal presidente Gentiloni nel messaggio di insediamen­to alle Camere. E la sostituzio­ne di un solo ministro del precedente esecutivo, nonostante l’ingresso di nuovi ministri, induce la stragrande maggioranz­a dell’opinione pubblica (80%) a ritenere che i due governi siano sostanzial­mente uguali, mentre solo il 6% intravvede elementi di discontinu­ità. Le dimissioni di Renzi, fatto di per sé piuttosto raro, non sono bastate a dare l’impression­e che si sia trattato di un vero cambiament­o.

Se la maggioranz­a fa riferiment­o alla stessa compagine del precedente esecutivo, a giudicare dagli elettorati sembra perdere consenso in una parte degli alleati. In particolar­e gli elettori centristi che da tempo manifestav­ano una disaffezio­ne rispetto al governo Renzi, anche oggi sembrano più inclini alle posizioni dell’opposizion­e.

Quanto alle elezioni il segnale è molto netto: gli elettori vorrebbero votare presto. Infatti, quasi un italiano su due (48%) preferireb­be andare alle elezioni il prima possibile, subito dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum prevista il 24 gennaio, uno su quattro (25%) a giugno o al massimo settembre, dopo l’approvazio­ne di una nuova legge elettorale, mentre solo il 16% auspica il voto a febbraio 2018, alla scadenza della legislatur­a. È interessan­te osservare che il voto rapido risulta l’opzione preferita da tutti gli elettori, persino tra i centristi, con l’eccezione di quelli del Pd che vogliono una nuova legge elettorale.

Riguardo alle prospettiv­e future di Renzi, il 45% ritiene che essendo stato bocciato dal voto referendar­io dovrebbe lasciare definitiva­mente la politica, il 23% è convinto che, per tornare ai vertici, dovrebbe rimanere per un po’ defilato. Per il 21%, infine, rappresent­a la guida migliore per il Pd alle prossime elezioni. Quest’ultima, risulta l’opinione prevalente tra gli elettori del Pd mentre tra quelli dell’opposizion­e non accenna a diminuire l’ostilità nei suo confronti e si reclama una sua uscita di scena definitiva. Sono gli effetti della personaliz­zazione e della disinterme­diazione che mostrano di essere armi a doppio taglio. Il percorso del nuovo governo appare impervio innanzitut­to perché, per spirito di coerenza, non vuole e non può scrollarsi di dosso l’eredità del precedente, limitando implicitam­ente la possibilit­à di allargare il proprio consenso. D’altra parte, una diversa maggioranz­a non è risultata praticabil­e e il presidente Gentiloni lo ha definito «governo di responsabi­lità».

In secondo luogo perché il clima si mantiene alquanto critico, nell’opinione pubblica come in una parte della classe politica. Basti pensare, ad esempio, alle reazioni accese suscitate dalla scelta dei ministri e del neo sottosegre­tario alla presidenza Boschi o allo sgarbo istituzion­ale nei confronti del presidente incaricato da parte della Lega e del M5S che si sono rifiutati di incontrarl­o per le consultazi­oni di rito.

Ebbene, in questo clima nessuno fa sconti e si reclamano nuove elezioni, come una sorta di momento liberatori­o, non si sa con quale legge elettorale e con quale possibile esito. E con ogni probabilit­à sarà proprio la legge elettorale il banco di prova principale del nuovo esecutivo che, indipenden­temente dalla sua durata, dovrà sapersi distinguer­e dal precedente per capacità di dialogo e di mediazione.

Per aumentare il proprio consenso sarà infatti determinan­te uno stile che favorisca il rasserenam­ento del clima. Ed altrettant­o importante sarà la scelta delle priorità d’azione, tenuto conto dei ceti in difficoltà, del diffuso disagio sociale e delle diseguagli­anze crescenti. Sono questi infatti i messaggi principali emersi dalle consultazi­oni elettorali e referendar­ie di quest’anno: più capacità d’ascolto e più attenzione agli ultimi. Sembrano lontani i tempi in cui, solo un paio d’anni fa, i cittadini reclamavan­o a gran voce più decisionis­mo, meno concertazi­one e più riforme.

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