La carriera di Lady Ikea in Italia «Tre maternità, zero ostacoli»
Belén Frau e la condivisione di famiglia e lavoro: «Impossibile senza mio marito»
Non ama definirsi una «lady di ferro». Anzi l’affermazione la stupisce. Perché tradisce, è il ragionamento, una venatura sessista. Come se per guidare un’azienda ci sia bisogno di essere duri e spietati. Semmai Belén Frau, 42 anni, è conosciuta per il suo understatement. Sobria, tono di voce calmo e riflessivo. Abituata a scandire le parole con la dovuta accortezza, anche per non incorrere in possibili effetti da «lost in traslation». Lei, spagnola di Bilbao, ama il basco. Come lingua di ordinanza però usa l’inglese. E l’italiano, che ha imparato approfittando del suo trasferimento a Milano. Due anni fa dalla Svezia decidono che deve essere proprio lei, tra le 100 dirigenti più influenti di Spagna, a dover rilanciare il mercato italiano di Ikea. «Ero in maternità dopo aver concepito il mio terzo figlio, quando mi hanno proposto di trasferirmi all’estero e di diventare l’amministratore delegato di Ikea Italia. Ho pensato che fosse una splendida opportunità per me e per la mia famiglia». Potrebbe apparire singolare ma i suoi scatti di carriera coincidono con i momenti di vita emotivamente più coinvolgenti. «Ho ricevuto il mio primo incarico dirigenziale in Ikea quando ero al nono mese di gravidanza – racconta Belén –. Al colloquio con le risorse umane mi chiesero di guidare un negozio. Risposi tradendo tutta la mia sorpresa: “Ma mi hai visto?”. Il capo del personale replicò stizzito: “E allora?”. Compresi quel giorno che spesso il “soffitto di cristallo” è una barriera che noi donne ci auto-imponiamo».
I buoni risultati di quel punto vendita la portano ad un’ascesa irresistibile. Dalla Svezia capiscono che è una manager determinata e con grande visione. Così arriva la promozione ad amministratore delegato di Ikea Spagna non appena torna a lavoro dopo la seconda gravidanza. La guida di Ikea Italia è storia recente. Belén viene chiamata a dare la svolta in un mercato che ha storicamente conferito alla multinazionale svedese del mobile ottimi profitti, ma che nel triennio 2013-2015 sembra essersi incartato per una domanda in ritirata. I consumi languono, gli italiani tendono a rimandare l’acquisto di beni durevoli. S’inasprisce anche il rapporto con i lavoratori. La mediazione sindacale serve a poco. Ikea Italia procede alla disdetta (unilaterale) del contratto integrativo. Con tagli agli stipendi fino al 20% a causa della mancata maggiorazione salariale dei turni festivi. I confederali agitano lo spettro dello sciopero ad oltranza. Ad agosto 2015 gli addetti dei 21 punti vendita italiani (ora diventati 23) incrociano le braccia. La vertenza si ricompone a novembre dell’anno scorso. Belén comincia ad intravedere i primi frutti del rilancio. L’accordo di secondo livello viene firmato ripristinando le maggiorazioni salariali del lavoro domenicale (che resta su base volontaria nei negozi di Milano Corsico, Carugate, Brescia, Torino e Bologna). E per esplicita richiesta di Belén il nuovo integrativo prevede alcuni istituti a sostegno dei collaboratori, tra cui i congedi per gravi motivi familiari e per episodi di stalking, e il permesso retribuito anche per la nascita dei nipoti, oltre a quello dei figli. Qualche settimana fa il premio di 900 euro a tutti i dipendenti italiani che lavorano in Ikea da almeno cinque anni. Sotto forma di contributi extra aggiuntivi ai versamenti previdenziali all’Inps. È il programma fedeltà ideato dal fondatore Ingvar Kamprad. D’altronde il fatturato di Ikea Italia sfonda, nel 2016, per la prima volta 1,7 miliardi di euro. Il nostro Paese passa dal nono al settimo mercato al mondo di Ikea e diventa il terzo fornitore globale dopo Cina e Polonia, con importanti ricadute sulla filiera dell’arredamento. Sulla conciliazione famiglia-lavoro Belén aggiunge però una postilla: «Senza mio marito nulla sarebbe stato possibile».
Ho ricevuto il mio primo incarico dirigenziale in Ikea quando ero al nono mese di gravidanza. Ero in maternità dopo aver concepito il mio terzo figlio, quando mi hanno proposto di trasferirmi all’estero e di diventare manager in Italia
Al primo colloquio con le risorse umane mi chiesero di guidare un negozio. Ero incinta e risposi tradendo tutta la mia sorpresa. Compresi quel giorno che spesso il “soffitto di cristallo” è una barriera che noi donne ci autoimponiamo