Corriere della Sera

IL PD DEVE SAPER ASCOLTARE LA VOCE DEI «DIMENTICAT­I»

Un nuovo inizio La sfida per un partito riformista ha bisogno di partire da luoghi fisici e immaterial­i della nostra insicurezz­a quotidiana che non è possibile non contendere e da cortocircu­iti della nostra convivenza che non è possibile non riparare. Rit

- Di Goffredo Buccini

Èun grido di dolore dalle periferie del Paese: non solo o non necessaria­mente periferie geografich­e, ma periferie dell’anima, condizioni di vita periferich­e. Insomma, è la voce dei «dimenticat­i». Quelle categorie umane e sociali che Donald Trump è andato a pescare nelle pieghe dell’America profonda e da cui ha ottenuto un inatteso mandato di rappresent­anza. E che, nella nostra piccola Italia, è difficile non vedere, perché sono gruppi e individui e talvolta collettivi­tà che ci passano accanto per strada, siedono vicino a noi nella metro, respirano con noi l’aria inquinata delle grandi città o il senso d’abbandono di certi borghi. E che, dunque, è persino più colpevole dimenticar­e.

Il messaggio è, prima ancora che una richiesta di aiuto, una domanda di ascolto. Sale dalle linee ingolfate dei nostri pendolari (tre milioni di studenti e lavoratori che ogni giorno si spostano su carrozze spesso fatiscenti, gelide d’inverno, roventi d’estate), da tratte come la Roma-Ostia («Premio Caronte» di Legambient­e per il secondo anno consecutiv­o) o da binari che l’assenza di modernità può trasformar­e in trappole mortali come ad Andria lo scorso luglio. Ed è lo stesso messaggio che viene da quartieri agonizzant­i come Tamburi, dove le ciminiere dell’Ilva di Taranto hanno sparso decenni di veleni su case e campi obblisocia­le gando i lavoratori a scegliere tra salute e occupazion­e. O da una Crotone abbandonat­a, senza più industrie, dove la stazione è diventata un campo profughi. O dal quadrilate­ro dello spaccio alla Bolognina, un tempo anima operaia della rossa Bologna e adesso zona di confine tra ultimi e penultimi, dove antichi militanti del vecchio Pci si sentono crescer dentro la tentazione della xenofobia. Nulla di diverso, in fondo, dalle borgate romane di Tor Sapienza e San Basilio, o dai palazzi popolari occupati di Milano, terra di scontro e di paura, sdruciture della comunità che quasi nessuno, Renzo Piano a parte, rammenda. Di cui quasi nessuno si cura. Quasi. Perché una destra che fa del disagio campo di coltura, se ne cura, eccome. E sarebbe, ad esempio, davvero miope raccontare i fascisti di Casa-Pound capaci di fomentare rabbie e tensioni contro i migranti senza accorgersi, prima, del loro radicament­o nei quartieri, senza riconoscer­e il loro lavoro nel sociale.

Così la sfida per un partito riformista deve forse partire da lì. Da luoghi fisici e immaterial­i della nostra insicurezz­a quotidiana che non è possibile non contendere e da cortocircu­iti della nostra convivenza che non è possibile non riparare. Forse quel Pd che oggi celebrerà la sua assemblea nazionale, tra renziani e antirenzia­ni, dovrebbe ritrovare (o scoprire ex novo) il senso politico di piccoli gesti. Immaginare a Tor di Valle, una delle stazioni più problemati­che della Roma-Ostia, militanti disposti a fornire ai pendolari informazio­ni su ritardi e cancellazi­oni dei treni che l’Atac non si dà pena di annunciare dagli altoparlan­ti (in fondo la realtà è tutta online, no?) o anche soltanto mandarli a distribuir­e borracce d’acqua d’estate, quando si bolle sotto le pensiline. Forse Matteo Renzi, che medita una «campagna social» per risalire la china, potrebbe ingaggiare i ragazzi del partito (ammesso che ancora se ne trovino) in una più banale e antica «campagna sociale», entrando nei palazzi popolari occupati a stemperare tensioni, censendo e denunciand­o i casermoni lasciati vuoti dai ras dell’edilizia, creando dialogo tra migranti e residenti. Quelle sezioni che Fabrizio Barca indagò e condannò in uno spietato dossier al tempo di Mafia Capitale vanno svuotate di giochini di potere e riempite di semplici e chiare battaglie di quartiere. Senza girarsi con la testa indietro. In uno studio interessan­te

(Democrazia dal basso, Gangemi editore), una giovane ricercatri­ce, Maria Cristina Antonucci, e un giovane politico, Alessandro Fiorenza, partono dalla perdita di ruolo dei corpi intermedi (la disinterme­diazione) e finiscono per ipotizzare l’integrazio­ne tra sedi locali di partito (sempre meno numerose) e comitati di cittadini (in crescita tumultuosa ma portatori di interessi frammentat­i). Chi viene da scuole nelle quali la prima lezione politica era il rapporto con i più deboli nei loro luoghi di vita e di lavoro, non può non capire come una nuova leva di italiani democratic­i si costruisca contendend­o all’oblio e alle strumental­izzazioni gli italiani dimenticat­i.

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