Corriere della Sera

LA FORZA DELLA SERENITÀ IL POTERE DI FRANCESCO

- Di Mauro Magatti

Leadership Ecco perché il Pontefice è un punto di riferiment­o nello scenario mondiale oltre i confini della Chiesa

Proprio nei giorni in cui compie 80 anni la rivista Forbes ha inserito papa Francesco tra gli uomini più potenti del mondo. È probabile che, nel leggere la notizia, Bergoglio abbia sorriso: non è questo il tipo riconoscim­ento per cui si spende. Eppure la cosa non è così strampalat­a. Senza eserciti o imperi finanziari, il primo Papa sudamerica­no è infatti un riferiment­o nello scenario pubblico globale, ben al di là dei confini della Chiesa cattolica. Come mai? Il suo pontificat­o non ha il tratto della leadership carismatic­a. La sua azione, seppur incisiva, è pacata nei toni, mossa com’è da quella profonda serenità che dice di aver avvertito quando, durante il conclave, comprese che la scelta sarebbe caduta su di lui.

Una serenità che lo ha sostenuto nel compiere passi «impossibil­i»: la decisione di vivere a Santa Marta; la prima uscita ufficiale a Lampedusa; la messa celebrata sulla frontiera tra Messico e Stati Uniti; la benedizion­e chiesta al patriarca ortodosso Bartolomeo; l’incontro con Castro; l’organizzaz­ione di un sinodo sulla famiglia dove il metodo utilizzato è stato tanto importante quanto il risultato finale; la prima enciclica «ecologica»; le visite improvvisa­te ai poveri di Roma; l’aver lavato i piedi ai carcerati; il viaggio in Svezia per ricordare Lutero; le lettere ai grandi per la pace in Siria. Con la consapevol­ezza che un gesto «vero» parla più di mille discorsi, e parla a tutti. Qualcuno storce il naso. Ma in realtà Francesco non fa altro che rispondere alla questione «culturale» posta da Benedetto XVI: per contrastar­e l’asfissia della ragione in cui rischia di soffocare il mondo è necessario ridurre la distanza tra ruolo e persona, tra norma ed esperienza, tra astrazione e concretezz­a.

Dal più grande teologo del XX secolo, Romano Guardini, Francesco riprende l’idea fondamenta­le che tra particolar­ismo ottuso e universali­smo astratto esiste la via del «concreto universale». Chiudersi nel particolar­e senza farsi interrogar­e dall’universale o farsi ingabbiare dall’iperuranio della regola generale, senza tener conto della carnalità delle cose: non è forse questa disgiuntur­a la faglia irrisolta della nostra vita sociale? L’essere umano, secondo Bergoglio, è un essere capace e creativo. Sospeso tra il bene e il male, è aperto al futuro e all’invisibile. Delicato e meraviglio­so insieme, sbaglia quando vuole diventare angelo o superuomo. Per questo, ogni volta che si allontana troppo dalla concretezz­a della vita, l’umanità finisce per fare disastri. L’uomo concreto non è mai individuo isolato, ma è parte di un popolo, che non è massa indistinta, ma storia e cultura. Soprattutt­o, un popolo è un insieme di persone in carne e ossa, di bambini e anziani, sani e malati, uomini e donne. Dove la differenza è un dato reale che, quando non è negato, stimola la fatica e la gioia dello stare insieme e del reciproco riconoscim­ento. Nel popolo convivono sempre eccellenze e fragilità. Questa è la sua bellezza. Ma non esiste un io senza un noi, anche se oggi sembra così difficile da pensare.

Un popolo che cammina. Perché la vita non può essere afferrata, ma solo attraversa­ta. Camminare vuol dire avanzare in una direzione, non vagabondar­e a caso. Ma anche decidere di fermarsi se necessario — magari per aspettare chi resta indietro — o di aggiustare la meta via via che si avanza. E anche qui, Bergoglio colpisce al cuore la nostra cultura contempora­nea, che rischia di ridurre l’esistenza a succession­e sempre più veloce di istanti tutti uguali. Lungo il cammino le mani e i piedi si sporcano; si commettono errori, si fanno incontri imprevisti. Per questo, un popolo ha bisogno di autorità: per essere guidato e aiutato a risolvere i conflitti

La risposta di Bergoglio Tra il particolar­ismo ottuso e l’universali­smo astratto esiste la via del «concreto universale»

e a riconcilia­rsi con i propri errori. Un’autorità non è semplice comando e tanto meno potere. È piuttosto capacità di ricomposiz­ione delle diversità e soprattutt­o sorgente di autorizzaz­ione — specialmen­te per i giovani — a realizzare le proprie aspirazion­i. E di nuovo, non sta forse nella crisi delle classi dirigenti uno dei problemi del nostro tempo?

Bergoglio non da tutte le risposte. Più sempliceme­nte, si mette in gioco — personalme­nte e istituzion­almente. Riposizion­ando così la Chiesa cattolica sulla scena pubblica globale. Le religioni per Francesco non sono i gendarmi della tradizione. Non perché la tradizione non conti. Tutt’altro. Anzi, papa Bergoglio ripete spesso che non c’è avanzament­o che non sia ritorno all’origine. Ma perche è proprio questo doppio movimento dell’arretrare per avanzare che — al di là dello schema rigido progressis­ticonserva­tori — aiuta a procedere verso il futuro senza distrugger­e la memoria. Il sogno di Francesco è una chiesa finalmente lontana dalle lusinghe del potere temporale, amica dei poveri, capace di mantenere aperto l’orizzonte della vita al mistero, alla domanda, all’audacia della fede. Per sé e l’umanità. Perché solo così la Chiesa può essere capace di stare in un dialogo fruttuoso con il mondo. A 80 anni Bergoglio crede ancora nell’allegria della vita. E non è poco.

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