La terapia del riposo a letto ha fatto ormai il suo tempo
Il riposo a letto è sempre stato uno dei principali rimedi che i medici hanno proposto ai pazienti nel corso dei secoli. «D’altronde il termine “clinico” deriva proprio dalla parola del greco antico ‘kliné’, che vuol dire letto — spiega il dottor Roberto Iovine, direttore della Medicina Riabilitativa Nord dell’Azienda Usl di Bologna.— però oggi sappiamo con certezza che l’allettamento è di per sé dannoso per gran parte delle funzioni del corpo: provoca tra l’altro ipotrofia muscolare, riduzione del calcio nelle ossa, della mobilità polmonare e del ritorno venoso, oltre a un peggioramento delle funzioni dello stomaco, dell’intestino, dei reni, dei sistemi regolatori dell’equilibrio e della pressione arteriosa. Quindi quando un medico lo prescrive deve farlo sulla base di una forte evidenza di efficacia, affinché sulla bilancia rischio/beneficio il riposo a letto garantisca al paziente un beneficio di entità tale da superare gli effetti negativi». Molte ricerche recenti hanno dimostrato che la prescrizione del riposo a letto, a parte i casi in cui è obbligato (ad esempio negli stati di coma o nella grave insufficienza cardiaca) non garantisce un migliore risultato terapeutico rispetto al mantenere un certo livello di attività stabilito dal paziente stesso. «Molti di noi ricordano come l’allettamento di almeno quattro settimane fosse in passato la prima raccomandazione a chi aveva avuto un infarto miocardico — dice ancora il dottor Iovine — ma adesso sappiamo che in casi di infarto non complicato la precoce mobilizzazione non pregiudica il risultato clinico rispetto ad una allettamento protratto. E non ci sono prove dell’utilità del riposo a letto nel prevenire le gravidanze pretermine, l’ipertensione in gravidanza e l’aborto. Lo stesso vale per chi soffre di mal di schiena o di sciatica».