A che cosa pensiamo quando non pensiamo
Chi volesse riposarsi cercando di fermare l’attività cerebrale è bene che si ricreda. Il cervello non solo non si può fermare, ma alcune sue aree si attivano proprio quando cerchiamo di non impegnarci e non pensare a niente. Sono le aree del cosiddetto Default mode network, che svolgono un ruolo importante per l’attività di base del cervello e che, a quanto pare, consumano gran parte dell’energia che usa complessivamente. Di quel 20 per cento dell’energia corporea assorbita dal cervello, solo il 5 per cento è spiegabile con le attività del cervello attivo; il restante 15 per cento se ne va per attività che non sono ancora state precisamente individuate, ma che verosimilmente sono collegate al Default mode network. Questa quota di energia è stata definita la Dark energy del cervello, in analogia alla quota di energia oscura dell’universo la cui funzione è tuttora in gran parte sconosciuta.
Ma a cosa pensa il cervello quando cerchiamo di non pensare a niente? Non è un’operazione facile, dal momento che i pensieri si attivano e viaggiano da soli, anche quando non li vorremmo o tentiamo di fermarli. Un momento ci sembra di riuscire finalmente a non pensare a niente, ma un attimo dopo siamo ripiombati in un flusso di pensieri. Spesso sono pensieri che riguardano il futuro, anticipazioni di ciò che dovremo fare, tentativi di organizzare e prevedere.
Contempliamo ipotesi possibili, ma anche scenari assurdi, talvolta catastrofici, talvolta idilliaci o perfino eroici. In pratica sogniamo a occhi aperti, un’attività che per tanto tempo i neuroscienziati hanno considerato semplicemente priva di senso, ma che ora invece viene rivalutata per alcune sue possibili funzioni sia psicologiche, sia neurofisiologiche.
Secondo il dottor Moshe Bar dell’Harvard Medical School di Boston, il sognare a occhi aperti servirebbe addirittura a creare memorie di eventi che non sono realmente accaduti. Un’attività assurda, si potrebbe credere, ma che invece potrebbe preparare psicologicamente a situazioni improvvise, possibili ma improbabili, che non fanno parte dell’esperienza quotidiana e alle quali quindi non saremmo minimamente preparati se non le avessimo già affrontate, almeno nel sogno a occhi aperti. E sul versante neurofisiologico recenti ricerche sembrano indicare che il sognare a occhi aperti possa essere utile per il consolidamento dei ricordi, proprio come accade per i sogni che si fanno quando si dorme.
E comunque su questo versante esiste una grande variabilità individuale. Non tutti sognano a occhi aperti alla stessa maniera. Ricercatori dell’Università di Oxford hanno esaminato immagini tratte dallo Human Connectome Project, riguardanti oltre 450 persone sottoposte a risonanza magnetica funzionale cerebrale mentre erano in una condizione di riposo psicofisico, scoprendo che per ogni individuo erano presenti alcune differenze nell’intensità con la quale si connettevano le aree cerebrali attive durante il riposo. Una diversità sostenuta da differenze culturali e di esperienza, dagli anni di studio effettuati, ma anche dalla qualità della memoria e della condizione fisica. Questa attivazione di fondo del cervello rappresenta dunque una sorta di motore che resta acceso al minimo, in maniera un po’ diversa per ogni individuo, ma in modo che in qualunque momento possa ripartire senza esitazioni.
D’altra parte, gli esseri umani si sarebbero probabilmente estinti da tempo se avessero avuto la possibilità di spegnere davvero il motore del cervello. E se poi, al momento del bisogno,magari in condizioni di pericolo, la chiavetta dell’accensione avesse girato a vuoto?