Corriere della Sera

IL LETARGO SULLA LEGGE ELETTORALE

LEGGE ELETTORALE

- Di Aldo Cazzullo

Non si doveva fare subito la legge elettorale? Non bisognava tornare in tempi ragionevol­i alle urne, dopo che il referendum — in modo improprio eppure innegabile — aveva bocciato, prima ancora delle riforme, il governo? Non si era detto che il Parlamento è sovrano e non è legato ai tempi tecnici della Corte costituzio­nale?

Intendiamo­ci: la sentenza della Consulta è importante. Ma non è obbligator­io che siano i giudici a scrivere la legge elettorale. Non a caso tutti i partiti si erano detti pronti a presentare proposte, a discutere apertament­e, a fare in fretta.

Invece tutto tace. È come se sulla riforma elettorale fosse scesa una coltre di neve e di silenzio, sotto cui i teorici riformator­i si sono riparati come per un dolce letargo, nel torpore delle feste natalizie.

Renzi ha proposto il Mattarellu­m. Un sistema che in passato ha garantito l’alternanza e la stabilità: nel 1996 vinse il centrosini­stra e governò per cinque anni; altrettant­o fece tra il 2001 e il 2006 il centrodest­ra. La minoranza del Pd per una volta era d’accordo con il segretario. La logica voleva che il giorno dopo venisse presentata una proposta di legge di un solo articolo, per ripristina­re le regole che oltretutto portano il nome dell’attuale presidente della Repubblica. Invece non è successo. Anzi, l’accordo di fatto è aspettare il 24 gennaio. Anche se non è detto che quel giorno la Consulta si esprima sull’Italicum; e non è detto che la sentenza sia autoapplic­ativa, e si possa davvero andare al voto con le norme uscite dalla Corte.

NSEGUE DALLA PRIMA

on solo il Pd; anche gli altri partiti stanno facendo melina e perdendo tempo. Salvini ha detto che il Mattarellu­m gli va bene; ma subito dopo ha aggiunto che vanno bene «anche Pippo, Pluto e Paperino». Ieri in un colloquio con Marco Cremonesi del Corriere ha rilanciato l’ipotesi di accordo; ma subito dopo ha aggiunto che lui con Renzi non parla, l’ha fatto solo due volte in vita sua e non gli è piaciuto (in una democrazia i leader si parlano ogni settimana in Parlamento; ma in Italia i leader in Parlamento non ci sono). Al Mattarellu­m ha aperto Toti di Forza Italia; ma la mossa non è piaciuta a Berlusconi e al resto del partito, che preferisce il proporzion­ale.

L’impression­e è che un po’ tutti i politici non vogliano i collegi uninominal­i; perché poi bisogna vincerli. Il Mattarellu­m costringe a misurarsi sul territorio, ad affrontare

Sentenza

gli elettori, a confrontar­si con gli avversari; e a correre rischi, ora che di collegi sicuri non ce ne sono quasi più. Molto più comodo scrivere la lista degli eletti nelle segreterie di partito.

Ma il punto non è quale sistema; è fare proposte, discuterle,

Non è obbligator­io che siano i giudici della Consulta a scrivere le regole Il Parlamento

decidere. Uscire dal letargo. La legge perfetta, ovviamente, non esiste. E i poli oggi non sono due, ma tre. La soluzione potrebbe essere il doppio turno di collegio come in Francia, che rispetto all’Italicum ha il vantaggio di superare le liste bloccate e di creare un rapporto tra elettori ed eletto. Però quando si parla di ballottagg­io ormai tutti gettano la palla in tribuna, nel timore di favorire la vittoria di Grillo.

Ma non è possibile pensare di guadagnar tempo, nella segreta speranza che la Consulta tolga il ballottagg­io di mezzo;

La questione del funzioname­nto della democrazia andrebbe affrontata subito

per poi magari chiudersi nelle segrete stanze, alle prese con alambicchi fumanti da cui distillare la formula magica che impedisca ai Cinque Stelle di vincere.

Dall’altra parte, i grillini si muovono con una spregiudic­atezza che non aiuta certo a trovare una via d’uscita. Prima erano favorevoli al ritorno del Mattarellu­m, quando lo proponeva Giachetti. Poi sono diventati proporzion­alisti (con le consuete dissidenze interne). Ora vorrebbero estendere pure al Senato l’Italicum, o quel che ne resterà dopo la sentenza della Corte.

In sostanza, dall’incrocio delle convenienz­e e dei veti esce lo stallo. Il letargo, appunto. E ipocritame­nte si proclama che «gli italiani non mangiano legge elettorale». Certo. Ma proprio perché il Paese non si è ancora ripreso dalla grande crisi, e vive una stagione di disagio, il Parlamento dovrebbe affrontare subito la questione niente affatto secondaria del funzioname­nto della democrazia; per poi andare a nuove elezioni, da cui esca un governo che abbia davanti cinque anni di lavoro per il rilancio dell’economia e della coesione sociale.

Ci fu un tempo, non remoto, in cui la riforma elettorale appassiona­va davvero i cittadini. Il 18 aprile 1993 il 77 per cento partecipò al referendum che abolì il proporzion­ale. Da allora una cappa di disillusio­ne è scesa sulla vita pubblica. Ma questo non esime, anzi impegna la politica a scrivere presto e bene norme destinate a valere per generazion­i, come accade nelle democrazie occidental­i, e non a essere riscritte secondo la convenienz­a di chi è al potere.

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