Corriere della Sera

«Ora serve il Mattarellu­m»

L’ex premier: «Ora serve un Mattarellu­m rivisitato Mps e Banca Etruria vicende che aiutano i populismi La gente ormai ha paura e non si fida più del credito»

- Di Massimo Franco

«Serve un Mattarellu­m rivisitato: credo sia l’unica maniera per ricreare un minimo di rapporto tra elettori ed eletti. Ma no a una legge contro Grillo, rischiereb­be di fargli un favore». L’ex premier Romano Prodi al Corriere: «Quello che è successo con Mps e Banca Etruria finisce per aiutare i populismi. La gente ormai ha paura e non si fida più del credito».

«Ho letto sul Corriere della svolta trumpiana di Beppe Grillo in materia di immigrazio­ne. Posso solo dire che non mi sorprende. Ha a che fare con l’esigenza di velare le magagne del Campidogli­o, certo. Ma non solo: c’è molto di più. I populismi tendono a occupare l’intero spettro politico, di destra, di centro e di sinistra. La loro identità è la paura che si è annidata e sedimentat­a nell’opinione pubblica. E Grillo è tra quanti la stanno sfruttando meglio, anche grazie agli errori di chi dovrebbe contrastar­lo». Romano Prodi è un osservator­e attento delle tendenze di lungo periodo del mondo occidental­e. Le ha potute misurare da presidente della Commission­e europea dal 1999 al 2004. Poi da presidente del Consiglio italiano dal 1996 al 1998, e di nuovo dal 2006 al 2008. E adesso continua a seguirle da economista che si divide tra Italia e Cina, con lo sguardo critico di chi non scorge ancora anticorpi né antidoti.

A suo avviso negli ultimi anni il Movimento 5 Stelle si è rafforzato o indebolito?

«Si è rafforzato senza dubbio, come tutti i populismi del mondo occidental­e. D’altronde, quando si sente dire che occorre fare una legge elettorale perché tutti hanno paura di favorire Grillo, significa che il suo movimento va avanti; e che gli strumenti usati finora per fermarlo si sono rivelati inadeguati».

Ma è giusto fare una legge elettorale per fermare Grillo?

«Assolutame­nte no. Guai a muoversi in questa logica. Le leggi elettorali debbono essere per sempre, comunque per un lungo periodo. La mia esperienza mi dice che approvarne una dettata da un interesse a breve termine di solito finisce per ritorcersi contro chi la fa».

Lei ha delle preferenze?

«Ne ho avute diverse in periodi diversi. In questa fase sono favorevole a una rivisitazi­one del cosiddetto Mattarellu­m. Credo sia l’unica maniera per ricreare un minimo di rapporto tra elettori e eletti».

L’obiezione è che in un sistema tripolare come il nostro non funziona: ricrea artificios­amente il bipolarism­o.

«La mia preoccupaz­ione è che la democrazia torni a essere più rappresent­ativa possibile. Ebbene, credo che il Mattarellu­m spingerà i partiti a mettere in campo candidati decenti, in grado di essere riconosciu­ti in collegi uninominal­i non troppo grandi. E in grado di vincere, anche se non voglio pormi solo il problema di chi vince o chi perde».

Sembra che i movimenti populisti si candidino a governare, in Italia come in Francia.

«Da mesi riflettevo sui grandi elementi unificanti che accomunano i cosiddetti populisti nel mondo. Mi verrebbe da dire che sono Donald Trump e gli Stati Uniti a seguire l’Europa, non viceversa. Ma la base di partenza è comune: la crisi del modo in cui si esprime la volontà popolare, e l’approccio col quale sono state gestite le crisi economiche e le disparità crescenti di reddito. Purtroppo, ci si è mossi quasi sempre facendo prevalere l’ottica elettorale, e con provvedime­nti proiettati nel breve periodo. Questo ha dato fiato ai movimenti populisti».

È d’accordo con la tesi che questa lunga crisi avrà uno sbocco di destra, che in fondo Grillo anticipa?

«L’accentuazi­one della polemica contro gli immigrati asseconda una richiesta di ordine ed è nella direzione di una spinta vigorosa di destra. Ma credo non si possa semplifica­re troppo. Movimenti di destra come quello francese di Marine Le Pen scelgono temi di uguaglianz­a e giustizia sociale per coprire anche spazi di sinistra. E populisti etichettab­ili di sinistra come Grillo si buttano a destra per abbracciar­e ogni elemento della protesta antisistem­a».

Insomma, l’uscita a destra non è scontata.

«Be’, diciamo che non si può prevedere, proprio per l’analisi che stavo facendo. Per esempio, la richiesta di un salario minimo non è di destra. Lo è certamente la forza evocativa dell’immigrazio­ne associata al terrorismo di matrice islamica. Ma credo che sia una miscela nella quale si sommano elementi opposti, in una fase drammatica nella quale a emergere è soprattutt­o la progressiv­a distruzion­e della classe media. Con la paura e la richiesta di sicurezza come elementi fondamenta­li».

Non crede a un asse con la Lega, dunque.

«Ci può essere magari un’alleanza strumental­e col Carroccio, ma il M5S per avere vera forza elettorale deve interpreta­re l’insoddisfa­zione in modo generale e esclusivo. Direi onnicompre­nsivo. E dunque andando al di là di categorie tradiziona­li come destra, sinistra e centro. La Lega è rimasta ancorata a una rappresent­anza parziale, non ha capito il nuovo populismo. Esprime una forza specifica, certo con un’appartenen­za forte; ma limitata. Al contrario, il nuovo populismo europeo e statuniten­se allargano sempre di più l’orizzonte degli interlocut­ori, e incidono su una gamma sempre più vasta di sensibilit­à».

Il fatto che oggi la cultura populista stia conquistan­do segmenti di opinione pubblica non tradiziona­lmente populisti non impone di cambiare categoria e anche lessico, di inquadrare il fenomeno in termini nuovi?

«Qui non è questione solo di lessico. Il problema è che la gente ha paura: talmente paura che non protesta nemmeno più. Pensiamo a quello che sarebbe successo vent’anni fa con l’indebolirs­i delle prestazion­i del nostro sistema sanitario, che pure in alcune zone del Paese rimane tra i migliori del mondo. Quando una crisi economica si prolunga per sette o otto anni, non si può separare la ricostruzi­one dei sistemi istituzion­ali da politiche concrete. Le tensioni istituzion­ali nascono dall’esistenza di un’angoscia personale profonda e diffusa».

 Da più di vent’anni crescono le disparità di reddito e questo spinge la demagogia. I programmi? A loro interessa demolire, poi si vedrà

 Con i collegi uninominal­i bisogna mettere in campo candidati decenti È necessario un modello elettorale che ricrei un minimo di rapporto tra elettori ed eletti

 Personaggi etichettab­ili di sinistra come Grillo si buttano a destra per abbracciar­e ogni elemento di protesta E Le Pen fa l’opposto Occupano l’intero spettro politico

Secondo lei, in Italia vicende come quella del Monte Paschi di Siena influiscon­o su questa inquietudi­ne di fondo?

«La vicenda del Monte dei Paschi di Siena è l’esempio tipico di quello che è successo e che sta accadendo. Sono fatti che alimentano la grande paura. Si tratti di Mps o di Banca Etruria, danno corpo a un’ansia nuova. Dieci anni fa chi temeva che mettendo i soldi in banca poteva perderli? Nessuno prima mi veniva a chiedere: professore, rischio se lascio i soldi in banca? Non è solo questione se si guadagna un po’ di più o di meno. La gente teme di perdere tutto quello che ha. In un momento di stagnazion­e economica domina la paura di vedere volar via i risparmi di una vita».

 Quando una crisi economica si prolunga per 7-8 anni la gente è spaventata E non si può separare la ricostruzi­one dei sistemi istituzion­ali da politiche concrete

Il risultato del referendum costituzio­nale del 4 dicembre ha a che fare con tutto questo?

«Credo che si discosti poco da quanto ho detto finora. È parte di una progressiv­a estraneità del popolo rispetto alle riforme. È successo in Italia un fenomeno simile a quello che si registrò con la bocciatura della Costituzio­ne europea in Francia nel 2005. Il popolo non votò pro o contro il Trattato, ma contro il presidente di allora, Jacques Chirac».

Sentendola parlare, si intravede una lunga linea di continuità: la crescita progressiv­a di un fenomeno per almeno dieci anni, che non si è riusciti a vedere in tempo.

«Più di dieci anni. È dal 1985 che le disparità di reddito crescono, non dal 2007-2008. Sono i frutti del periodo post-Reagan e post-Thatcher. E per vent’anni si è detto che quello che andava bene agli imprendito­ri e ai banchieri avrebbe arricchito tutti. E gli accademici annuivano. Ora ci si rende conto dell’errore. Ma i populismi sono in ascesa, perché nessuno sembra in grado di riprendere una discussion­e a 360 gradi e di contestare un modello di potere verticale che ha fallito. Non si discute più nelle assemblee, nei partiti, in Parlamento. Né basta dire: ma i populisti non hanno programmi. E perché dovrebbero averne? A loro interessa demolire, e poi si vedrà».

 ?? (Jpeg) ?? Ex premier Romano Prodi, 77 anni, è stato presidente del Consiglio dal ‘96 al ‘98 e dal 2006 al 2008. Ha presieduto la Commission­e europea dal ‘99 al 2004
(Jpeg) Ex premier Romano Prodi, 77 anni, è stato presidente del Consiglio dal ‘96 al ‘98 e dal 2006 al 2008. Ha presieduto la Commission­e europea dal ‘99 al 2004

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