Corriere della Sera

L’ira di Palazzo Chigi e del Tesoro: poca trasparenz­a, risvolti politici

L’incontro ieri tra premier e ministro. Presto una risposta alla lettera con il nuovo conteggio: decisione discrezion­ale e dannosa per noi

- di Marco Galluzzo

«Mancanza di trasparenz­a». Non è un’accusa da poco. Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan hanno fatto il punto ieri pomeriggio a Palazzo Chigi. Hanno riletto la lettera di «poche righe, appena cinque» della Vigilanza della Bce. E hanno concluso che una risposta va data: la decisione della Banca centrale europea sul Monte dei Paschi di Siena è per il governo italiano non solo «discrezion­ale», ma che anche in qualche modo «dannosa» per lo stesso istituto bancario italiano: «Dovrebbero cambiare le modalità delle loro comunicazi­oni».

Non è detto che il governo sia pronto a contestarl­a, forse non ne ha nemmeno i poteri. Ma «ora si apre una partita con la Commission­e europea che durerà almeno due mesi», dicono a Palazzo Chigi, pensando al nuovo piano industrial­e che l’istituto bancario di Siena dovrà definire. Di certo le modalità del rilancio della Vigilanza dell’istituto di Francofort­e, sul capitale necessario alla banca, non hanno convinto le istituzion­i italiane. Il ministro dell’Economia riesce a stento a contenere l’irritazion­e: i criteri sul fabbisogno patrimonia­le che sono stati applicati alla terza banca italiana sono a suo giudizio «eccessivi», tanto da far pensare che la decisione dell’organo di Francofort­e abbia avuto risvolti politici, oltre che finanziari.

«Sono tranquillo, abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare», è la linea ufficiale di Paolo Gentiloni, che ha ereditato una patata bollente e che con diligenza ha fatto le ore piccole a Palazzo Chigi, nei suoi primi giorni di governo, con il ministro dell’Economia, sino a notte fonda a studiare il primo dossier che Matteo Renzi gli ha lasciato in eredità.

Non un’eredità leggera, visto che comporta il ritorno dello Stato come primo azionista di una banca italiana, un tuffo nel passato, per esigenze di forza maggiore, ma al termine di una vicenda che ha lasciato non poche scorie, sia finanziari­e che politiche. Renzi credeva nel referendum e nei cavalieri bianchi, scommettev­a sui capitali arabi e invitava a comprare Mps, si diceva sicuro del successo dell’operazione.

Gentiloni ha dovuto gestire una sorta di risveglio, di presa d’atto, una repentina metamorfos­i in cui le carte non le ha date Roma ma Francofort­e: saranno anche cambiati i parametri del salvataggi­o di Mps, pubblico e non più da parte di investitor­i esteri, ma il rilancio della Vigilanza della Bce restituisc­e comunque una fotografia di impotenza delle istituzion­i italiane, economiche e politiche: al progetto di Renzi, e dell’advisor Jp Morgan, non era stato affiancato alcun piano B, se non quello di un intervento pubblico.

L’aria che si respira fra Palazzo Chigi e Mef è di forte irritazion­e, ma anche di impotenza. Il dito puntato contro la «mancanza di trasparenz­a» delle decisioni della Vigilanza della Bce, contro una lettera di «appena cinque righe» che avrebbe richiesto più delucidazi­oni, ma a questo punto la palla non sembra non più in mani italiane, nonostante i tanti viaggi compiuti in questi mesi dai vertici di Mps a Francofort­e.

La Bce ha alzato l’asticella della ricapitali­zzazione di quasi 4 miliardi di euro. «Hanno sempre giocato al rilancio», dicono ancora a Palazzo Chigi, dissimulan­do l’irritazion­e di Padoan, come se una reazione politica ufficiale al cambio dei parametri di fabbisogno patrimonia­le dell’istituto senese sia stata presa in consideraz­ione, ma sino a un certo punto.

Del resto le polemiche di casa nostra — i deputati del Pd che chiedono a Padoan di riferire in Parlamento, il ministro Orlando che apre ad una commission­e di inchiesta sulle banche — sono tessere di un puzzle che «confermano quello che tutti sapevano e che nessuno aveva il coraggio di dire, i cavalieri bianchi non sono mai stati in procinto di arrivare», dice un banchiere che ha seguito la vicenda, e che si dice esterrefat­to della comunicazi­one della Bce: «Non si capisce cosa sarebbe successo se l’aumento di capitale con l’ingresso di privati avesse avuto successo, la Bce avrebbe chiesto lo stesso quasi 4 miliardi in più? Sarebbe stato assurdo».

Il referendum costituzio­nale Il No ha cancellato le speranze residue di investitor­i esteri e la Bce ha riportato la vicenda su parametri finanziari, prima che politici

Di certo la vicenda ha scontato in qualche modo l’incertezza politica italiana. Il referendum sulla Costituzio­ne è stato una sorta di tappo, ha congelato tutto. Il premier uscente aveva dato una delega in bianco agli advisor americani. Il No al referendum ha cancellato le speranze residue di investitor­i esteri e la Bce ha riportato la vicenda su parametri finanziari, prima che politici. «Mario Draghi interviene solo c’è un rischio sistemico, non mette certo bocca sulle vicenda di una singola banca», è la conclusion­e di un altro banchiere. A maggior ragione se Bankitalia e il Mef sono stati in qualche modo bypassati dalla presidenza del Consiglio.

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