L’ira di Palazzo Chigi e del Tesoro: poca trasparenza, risvolti politici
L’incontro ieri tra premier e ministro. Presto una risposta alla lettera con il nuovo conteggio: decisione discrezionale e dannosa per noi
«Mancanza di trasparenza». Non è un’accusa da poco. Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan hanno fatto il punto ieri pomeriggio a Palazzo Chigi. Hanno riletto la lettera di «poche righe, appena cinque» della Vigilanza della Bce. E hanno concluso che una risposta va data: la decisione della Banca centrale europea sul Monte dei Paschi di Siena è per il governo italiano non solo «discrezionale», ma che anche in qualche modo «dannosa» per lo stesso istituto bancario italiano: «Dovrebbero cambiare le modalità delle loro comunicazioni».
Non è detto che il governo sia pronto a contestarla, forse non ne ha nemmeno i poteri. Ma «ora si apre una partita con la Commissione europea che durerà almeno due mesi», dicono a Palazzo Chigi, pensando al nuovo piano industriale che l’istituto bancario di Siena dovrà definire. Di certo le modalità del rilancio della Vigilanza dell’istituto di Francoforte, sul capitale necessario alla banca, non hanno convinto le istituzioni italiane. Il ministro dell’Economia riesce a stento a contenere l’irritazione: i criteri sul fabbisogno patrimoniale che sono stati applicati alla terza banca italiana sono a suo giudizio «eccessivi», tanto da far pensare che la decisione dell’organo di Francoforte abbia avuto risvolti politici, oltre che finanziari.
«Sono tranquillo, abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare», è la linea ufficiale di Paolo Gentiloni, che ha ereditato una patata bollente e che con diligenza ha fatto le ore piccole a Palazzo Chigi, nei suoi primi giorni di governo, con il ministro dell’Economia, sino a notte fonda a studiare il primo dossier che Matteo Renzi gli ha lasciato in eredità.
Non un’eredità leggera, visto che comporta il ritorno dello Stato come primo azionista di una banca italiana, un tuffo nel passato, per esigenze di forza maggiore, ma al termine di una vicenda che ha lasciato non poche scorie, sia finanziarie che politiche. Renzi credeva nel referendum e nei cavalieri bianchi, scommetteva sui capitali arabi e invitava a comprare Mps, si diceva sicuro del successo dell’operazione.
Gentiloni ha dovuto gestire una sorta di risveglio, di presa d’atto, una repentina metamorfosi in cui le carte non le ha date Roma ma Francoforte: saranno anche cambiati i parametri del salvataggio di Mps, pubblico e non più da parte di investitori esteri, ma il rilancio della Vigilanza della Bce restituisce comunque una fotografia di impotenza delle istituzioni italiane, economiche e politiche: al progetto di Renzi, e dell’advisor Jp Morgan, non era stato affiancato alcun piano B, se non quello di un intervento pubblico.
L’aria che si respira fra Palazzo Chigi e Mef è di forte irritazione, ma anche di impotenza. Il dito puntato contro la «mancanza di trasparenza» delle decisioni della Vigilanza della Bce, contro una lettera di «appena cinque righe» che avrebbe richiesto più delucidazioni, ma a questo punto la palla non sembra non più in mani italiane, nonostante i tanti viaggi compiuti in questi mesi dai vertici di Mps a Francoforte.
La Bce ha alzato l’asticella della ricapitalizzazione di quasi 4 miliardi di euro. «Hanno sempre giocato al rilancio», dicono ancora a Palazzo Chigi, dissimulando l’irritazione di Padoan, come se una reazione politica ufficiale al cambio dei parametri di fabbisogno patrimoniale dell’istituto senese sia stata presa in considerazione, ma sino a un certo punto.
Del resto le polemiche di casa nostra — i deputati del Pd che chiedono a Padoan di riferire in Parlamento, il ministro Orlando che apre ad una commissione di inchiesta sulle banche — sono tessere di un puzzle che «confermano quello che tutti sapevano e che nessuno aveva il coraggio di dire, i cavalieri bianchi non sono mai stati in procinto di arrivare», dice un banchiere che ha seguito la vicenda, e che si dice esterrefatto della comunicazione della Bce: «Non si capisce cosa sarebbe successo se l’aumento di capitale con l’ingresso di privati avesse avuto successo, la Bce avrebbe chiesto lo stesso quasi 4 miliardi in più? Sarebbe stato assurdo».
Il referendum costituzionale Il No ha cancellato le speranze residue di investitori esteri e la Bce ha riportato la vicenda su parametri finanziari, prima che politici
Di certo la vicenda ha scontato in qualche modo l’incertezza politica italiana. Il referendum sulla Costituzione è stato una sorta di tappo, ha congelato tutto. Il premier uscente aveva dato una delega in bianco agli advisor americani. Il No al referendum ha cancellato le speranze residue di investitori esteri e la Bce ha riportato la vicenda su parametri finanziari, prima che politici. «Mario Draghi interviene solo c’è un rischio sistemico, non mette certo bocca sulle vicenda di una singola banca», è la conclusione di un altro banchiere. A maggior ragione se Bankitalia e il Mef sono stati in qualche modo bypassati dalla presidenza del Consiglio.