Corriere della Sera

Il piano del Viminale: treni e stazioni, più controlli

- Virginia Piccolillo

Controlli rafforzati, soprattutt­o sui treni e nelle stazioni. Perquisizi­oni e attività investigat­iva. E un certo fastidio per quel ditino puntato verso le nostre forze dell’ordine dalla Germania: che lascia filtrare di aver avvertito l’Italia già sette mesi fa del fatto che Anis Amri era un jihadista pericoloso. Al Viminale, mentre si intensific­a la caccia al giro di amicizie del presunto attentator­e del mercatino di Natale, sale l’irritazion­e. Il risalto dato a quelle rivelazion­i sull’alert lanciato alla nostra Digos viene letto come il tentativo di scaricare altrove errori compiuti a Berlino. Perché mentre si lanciavano allarmi internazio­nali Amri ha potuto agire indisturba­to e fuggire in Italia dove, per altro, si rimarca al Viminale, il tunisino è stato fermato dai nostri agenti, risolvendo (tragicamen­te, con la morte del ragazzo) un serio problema alle forze di polizia tedesche che ne avevano perso le tracce? Lo dice, chiaro, il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi: «Cosa significa che la polizia tedesca ci aveva segnalato a maggio che Anis Amri era pericoloso? Ce l’avevano a casa loro. Sette mesi fa era in Germania. E le autorità tedesche sapevano che era pericoloso perché l’Italia glielo aveva segnalato già un anno prima, a giugnolugl­io 2015. Tanto è vero che stavano preparando­si ad espellerlo. Grazie dell’avvertimen­to, ma noi lo sapevamo. Erano loro, che ce l’avevano sul proprio territorio, a dover agire». Quanto alle segnalazio­ni su avvistamen­ti del tunisino in Italia prima e dopo l’attentato il Viminale è piuttosto scettico. Dal 19 dicembre in poi non si contano più le persone che credono di aver visto Anis Amri. E costringon­o a verifiche. Distoglien­do forze alla pista delle coperture italiane e internazio­nali, sulle quali Amri contava per fare forse come Salah Abdeslam. Fingersi martire e invece sparire. Pista che promette una svolta. Intanto si intensific­ano le misure di sicurezza anti-attentati. «C’è una forte preoccupaz­ione razionale, non una fobia», spiega Stucchi. «Ciò che è accaduto trasforma softtarget in hard-target. Ma la paura non deve bloccare il divertimen­to. Io stesso farò Capodanno in piazza».

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