ERESIA E FEDE SI SPECCHIANO NELL’ARTE
Già da un buon ventennio Massimo Firpo si aggira fra i meandri del tema del «rapporto fra immagini e storia» nel Cinquecento italiano. Almeno dal 1997 una serie ininterrotta di articoli e volumi (talora scritti in collaborazione con altro studioso) ha di molto arricchito, con la sua bibliografia, la nostra conoscenza del mondo italiano di quel secolo. Ora si aggiungono due volumi: Immagini ed eresie nell’Italia del Cinquecento, scritto con Fabrizio Biferali (Laterza, pp. 464, 38), e la raccolta di testi degli ultimi anni Tra politica e religione. Nuovi studi su immagini e storia nel ’500 (Edizioni della Normale di Pisa, pp. 376, 35). Essi confermano che questa intensa coltivazione del suo tema segna davvero un progressivo innovarlo e approfondirlo.
Firpo avverte che il suo lavoro non è volto agli aspetti formali ed estetici delle opere in cui egli studia il rapporto fra le immagini create dalla fantasia degli artisti e la vita religiosa e politica del loro tempo. Per quegli aspetti egli si rimette agli storici dell’arte. Il suo vuole rimanere uno studio prettamente storico della cultura e delle vicende del secolo XVI, e tale, infatti, riesce. Tuttavia, quel secolo fu segnato nella storia d’Italia (come, del resto, in quella europea) dalla svolta dovuta alla Riforma protestante che investì in profondità tutte le proiezioni dello spirito e del pensiero del tempo, con ripercussioni che a tutt’oggi non si sono ancora esaurite. Di conseguenza, le iconografie pittoriche di cui Firpo si occupa non sono affatto così esterne alla storia dell’arte come a lui vuol sembrare; anzi, vi penetrano in profondità, ed è un suo grande merito.
Quella «sorta di ambiguità strutturale delle immagini», che a ragione egli puntualizza in rapporto con il tempo di una severa repressione politico-religiosa del movimento protestante, è un tratto che riguarda tanto il messaggio religioso che certi artisti intendevano raccogliere e trasmettere quanto l’intimo essere dell’arte del tempo. Non è un caso che nel volume scritto con Biferali, storico dell’arte, le pagine dei due autori si integrino a tal punto da sembrare di uno stesso autore.
I due libri confermano, sul versante dell’arte, il dato storico eminente di una penetrazione in Italia della Riforma protestante più profonda e consentanea di quanto molti ancora ritengono. E si conferma, quindi, indirettamente, che solo un’azione repressiva intensa e severa poté impedire che la storia italiana prendesse a metà Cinquecento un altro avvio.
Firpo non ha, però, solo esplorato e arricchito di tante originali e pregnanti ricerche un quadro storico di interesse ben più che soltanto italiano. Egli lo fatto entrando spesso nel vivo e concreto farsi della storia di opere d’arte e di artisti minori e massimi, e infondendo, così, nelle sue pagine, il senso della sofferenza di esperienze non semplici, né indolori, di idee e di persone.
Ne risulta che il dramma della storia d’Italia nel Cinquecento fu, sì, nel soggiacere al predominio straniero che allora iniziò, ma, ancora di più, nella repressione di svolgimenti morali e religiosi a cui la precedente storia italiana portava, anche se solo in una certa misura, come in altri Paesi europei. Ma poiché la repressione non può spiegare da sola il corso della storia di un Paese, e tanto meno di un Paese come l’Italia del Rinascimento, nel quale il cattolicesimo aveva tante e così profonde radici, il grande lavoro di Firpo fa sorgere l’idea di una ricerca analoga alla sua per l’arte italiana di quel tempo che rimase cattolica con un’adesione intima e spontanea. Ne guadagnerebbe, crediamo, con la storia d’Italia, anche la storia dell’arte. Massimo Firpo (1946)