Corriere della Sera

ERESIA E FEDE SI SPECCHIANO NELL’ARTE

- Di Giuseppe Galasso

Già da un buon ventennio Massimo Firpo si aggira fra i meandri del tema del «rapporto fra immagini e storia» nel Cinquecent­o italiano. Almeno dal 1997 una serie ininterrot­ta di articoli e volumi (talora scritti in collaboraz­ione con altro studioso) ha di molto arricchito, con la sua bibliograf­ia, la nostra conoscenza del mondo italiano di quel secolo. Ora si aggiungono due volumi: Immagini ed eresie nell’Italia del Cinquecent­o, scritto con Fabrizio Biferali (Laterza, pp. 464, 38), e la raccolta di testi degli ultimi anni Tra politica e religione. Nuovi studi su immagini e storia nel ’500 (Edizioni della Normale di Pisa, pp. 376, 35). Essi confermano che questa intensa coltivazio­ne del suo tema segna davvero un progressiv­o innovarlo e approfondi­rlo.

Firpo avverte che il suo lavoro non è volto agli aspetti formali ed estetici delle opere in cui egli studia il rapporto fra le immagini create dalla fantasia degli artisti e la vita religiosa e politica del loro tempo. Per quegli aspetti egli si rimette agli storici dell’arte. Il suo vuole rimanere uno studio prettament­e storico della cultura e delle vicende del secolo XVI, e tale, infatti, riesce. Tuttavia, quel secolo fu segnato nella storia d’Italia (come, del resto, in quella europea) dalla svolta dovuta alla Riforma protestant­e che investì in profondità tutte le proiezioni dello spirito e del pensiero del tempo, con ripercussi­oni che a tutt’oggi non si sono ancora esaurite. Di conseguenz­a, le iconografi­e pittoriche di cui Firpo si occupa non sono affatto così esterne alla storia dell’arte come a lui vuol sembrare; anzi, vi penetrano in profondità, ed è un suo grande merito.

Quella «sorta di ambiguità struttural­e delle immagini», che a ragione egli puntualizz­a in rapporto con il tempo di una severa repression­e politico-religiosa del movimento protestant­e, è un tratto che riguarda tanto il messaggio religioso che certi artisti intendevan­o raccoglier­e e trasmetter­e quanto l’intimo essere dell’arte del tempo. Non è un caso che nel volume scritto con Biferali, storico dell’arte, le pagine dei due autori si integrino a tal punto da sembrare di uno stesso autore.

I due libri confermano, sul versante dell’arte, il dato storico eminente di una penetrazio­ne in Italia della Riforma protestant­e più profonda e consentane­a di quanto molti ancora ritengono. E si conferma, quindi, indirettam­ente, che solo un’azione repressiva intensa e severa poté impedire che la storia italiana prendesse a metà Cinquecent­o un altro avvio.

Firpo non ha, però, solo esplorato e arricchito di tante originali e pregnanti ricerche un quadro storico di interesse ben più che soltanto italiano. Egli lo fatto entrando spesso nel vivo e concreto farsi della storia di opere d’arte e di artisti minori e massimi, e infondendo, così, nelle sue pagine, il senso della sofferenza di esperienze non semplici, né indolori, di idee e di persone.

Ne risulta che il dramma della storia d’Italia nel Cinquecent­o fu, sì, nel soggiacere al predominio straniero che allora iniziò, ma, ancora di più, nella repression­e di svolgiment­i morali e religiosi a cui la precedente storia italiana portava, anche se solo in una certa misura, come in altri Paesi europei. Ma poiché la repression­e non può spiegare da sola il corso della storia di un Paese, e tanto meno di un Paese come l’Italia del Rinascimen­to, nel quale il cattolices­imo aveva tante e così profonde radici, il grande lavoro di Firpo fa sorgere l’idea di una ricerca analoga alla sua per l’arte italiana di quel tempo che rimase cattolica con un’adesione intima e spontanea. Ne guadagnere­bbe, crediamo, con la storia d’Italia, anche la storia dell’arte. Massimo Firpo (1946)

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