TURCHIA, RUSSIA E IRAN NASCE UNA TRIPLICE INTESA
Mi sembra che, all’indomani della feroce esecuzione dell’ambasciatore russo ad Ankara da parte di un agente turco, le relazioni tra i due Stati, così strategiche in funzione anti Isis in quel delicato scacchiere mediorientale, non siano state per nulla intaccate dagli eventi. L’attesa dura reazione di Putin non c’è stata così come era già avvenuto in passato dopo l’abbattimento da parte turca di un cacciabombardiere russo impegnato in una azione di guerra in Siria. Ora, invece, assistiamo ad una ripresa dei negoziati tra le due potenze e questa volta estesa anche ad un altro importante protagonista di quell’area: l’Iran. Secondo lei, si può dire che oggi la grande diplomazia delle potenze mondiali, che di solito si mette in moto proprio in periodi critici come questi, potrebbe aver trionfato sulla pura ragion di Stato?
Caro Covelli,
Tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, dopo l’abbattimento turco di un aereo russo ai confini tra Siria e Turchia, una intesa cordiale fra Mosca e Ankara, con la partecipazione dell’Iran, sarebbe stata difficilmente immaginabile. Ma il quadro da allora è molto cambiato. In primo luogo la Turchia, colpita da numerosi attentati non soltanto curdi, ha smesso di favorire le operazioni dell’Isis in Siria e sembra trattare ormai lo Stato Islamico come un nemico. In secondo luogo, ha compreso che la presenza russa nella regione aveva cambiato i rapporti di forza e che il presidente siriano Bashar Al Assad, lungamente avversato da Ankara, avrebbe, con ogni probabilità, conservato il potere. Da quel momento Erdogan è diventato alleato di Putin e indirettamente dell’Iran. Da qualche settimana, dopo la sconfitta dei ribelli ad Aleppo, questa Triplice può rivendicare la propria vittoria e ha un evidente interesse a gestire insieme le ricadute del conflitto, dai movimenti delle popolazioni ai benefici della ricostruzione di un Paese in buona parte distrutto.
Ma esiste un’altra ragione che unisce i tre Paesi e li spinge a lavorare insieme. Ciascuno di essi ha rapporti difficili con gli Stati Uniti e nel caso della Turchia anche con la Unione Europea. La Turchia attribuisce il colpo di Stato e l’uccisione dell’ambasciatore turco all’organizzazione di Fethullah Gülen, un oppositore del regime che governa la sua rete dalla Pennsylvania e gode, secondo Erdogan, della protezione degli americani. Ha un accordo con l’Europa per il trattamento dei migranti, ma le porte dell’Ue, soprattutto dopo la brutale repressione dei suoi dissidenti, le sono chiuse. L’Iran ha concluso un accordo nucleare con alcuni Paesi, fra cui gli Stati Uniti di Barack Obama, ma sta perdendo il suo interlocutore preferito e dovrà trattare nei prossimi mesi con un presidente che ha sovente annunciato, durante la campagna elettorale, una revisione dell’accordo.
La Russia, al contrario, potrebbe contare, dopo la elezione di Donald Trump, sulla presenza alla Casa Bianca di un interlocutore più benevolo. Ma è ancora soggetta alle sanzioni imposte dopo l’annessione della Crimea e ritiene, non senza ragione, che la Nato sia diventata una organizzazione ostile. Ciascuno dei tre Paesi, quindi, ha qualche buon motivo per temere l’isolamento. L’incontro tripartito degli scorsi giorni non concerne soltanto il Medio Oriente. È anche una risposta agli Stati Uniti e alla Unione Europea.