L’inevitabile solitudine degli ex numeri primi
Hillary persa nel telefonino Quando i potenti diventano persone (quasi) come noi
Andare sempre più in alto e poi «essere precipitai giù» come scrive Shakespeare nel Riccardo III. Capita. È il tornare alla normalità per chi è stato un numero primo. Così come è successo a Hillary Clinton, fotografata sola al cellulare.
«Ed il re Teodorico / Vecchio e triste al bagno sta». In un famoso poemetto, Giosue Carducci raccontò la leggenda del sovrano degli Ostrogoti, che divenne padrone d’Italia e che, dopo tante battaglie vittoriose, perì in solitudine terrorizzato dai fulmini come un bambino. Pura invenzione, ma dice bene che cosa accade quando, per un accidente qualunque o per il semplice e naturale declinare della vita, il destino clicca sul tasto «Delete». Vengono in mente i due aggettivi carducciani guardando le fotografie di certi personaggi che lo «star system» della politica o dello spettacolo ha visto passare improvvisamente, nel giro di pochi giorni, dalle prime alle seconde alle terze alle quarte pagine, sempre più scoloriti, privi della verve pubblica che avevano mostrato nella fase culminante del successo (ottenuto o sperato): dal ruggito di fronte alle immense platee (sempre piene e plaudenti) alla solitudine di un’osteria o di una mensa, bicchiere semivuoto, via il trucco, via il cerone, via i microfoni e le telecamere, via tutto, si rientra (se va bene) nei ranghi dell’anonimato o quasi, del guardarsi allo specchio non per cercare di rimanere con i piedi per terra nonostante i bagni di folla, ma al contrario per farsi coraggio e ricordarsi che la vera vita non era quella ma è questa.
Arriva per tutti, arriverà (dolcemente o no) anche per Putin e per Trump com’è arrivato per Hillary Clinton e chissà per quanti altri prima di lei (chi non ricorda le meste fotografie dei Bossi, dei Bersani, dei Cameron?), il momento della solitudine da ex più o meno malinconica. Che è l’inevitabile resa dei conti con se stessi e con il proprio desiderio per il buon governo, eventualmente, sarebbe arrivata nell’aldilà). Tanti filosofi e poeti si sono interrogati sulla fragilità della fama. Dante vi dedicò un canto del Purgatorio, l’XI, dove le anime dei superbi espiavano camminando inclinati da un masso che pesava loro sulle spalle. Con questa morale: la fama è di breve durata come il verde degli alberi. Ci sono però tante sfumature di colore tra la fama e l’infamia, che sui vocabolari è il suo esatto contrario. C’è, appunto, la coscienza lieve del ritorno nella realtà, l’ebbrezza di riconquistare la normalità. E chi lo dice che Shakespeare avesse ragione nel definire (nel «Riccardo III») «un lugubre spettacolo, essere sollevati in alto, per essere precipitati giù»? Si può trovare una piacevole vertigine anche nel precipizio, specie se si precipita con il paracadute della tranquillità economica (anzi della ricchezza, come nel caso della Clinton e di altri «sovrani» spodestati o sconfitti democraticamente). E chi potrà mai sapere che cosa stia pensando davvero l’ex candidata democratica mentre tutta sola, un po’ scapigliata, con una stella di Natale alle spalle, su un tavolo da colazione in un albergo di montagna (e chissà che albergo!), guarda il suo smartphone come facciamo tutti al mattino, appena svegli, per sapere se il mondo ci pensa anche quando siamo in vacanza. Forse riflette con quieta soddisfazione sullo scampato pericolo, augurandosi un aldilà senza massi da portare sulle spalle.