Corriere della Sera

La strage dei ragazzi in discoteca

Istanbul, assalto nella notte di Capodanno: 39 morti. In salvo gruppo di italiani: gli spari, il panico

- Di Francesco Battistini

Terrore e morte nella notte del 31 dicembre a Istanbul, in Turchia. Un attacco terroristi­co a colpi di mitra dentro la discoteca «Reina», uno dei locali più famosi della città, ha provocato una strage: 39 morti e almeno 75 feriti, in maggioranz­a giovani. Caccia all’uomo in tutta la città. Il killer prima di aprire il fuoco ha urlato «Allah Akbar». Nel locale, a festeggiar­e il nuovo anno, anche un gruppo di italiani che vivono a Istanbul: si sono salvati gettandosi a terra.

Il bacio di mezzanotte è quello della morte. Quante fontane e cappellini verdi e rossi e dita a V e trenini. «Three-twoone… Happy New Year!». Al Reina Club credono d’averlo finalmente seppellito, quest’anno orribile di golpe, di stragi, di cose turche. La notte del 31 si beve, si balla, ci s’abbraccia e ci s’augura tutto quel che il 2016 non ha mai portato. La signora Sinem Uyanik posta in Rete un selfie col marito, un sorriso al tavolo da mandare ai capodanni degli altri: «Tutti al Reina!», scrive in esergo. Il calciatore Sefa Boydas è entrato nel locale da dieci minuti, la fidanzata per mano su tacchi vertiginos­i: «Con tutti questi attentati in Turchia — racconterà dopo —, ero un po’ esitante. Ma un mio amico mi ha detto: non potrà mai succedere in un posto come il Reina…». Anche Essence Carson, la cestista Wnba dei Los Angeles Sparks che s’è organizzat­a il veglione a Istanbul con le compagne di squadra, cinguetta a un amico musicista di New York che «il Nuovo Anno possa darti molte benedizion­i e opportunit­à!» e qualche minuto dopo, ammutolita negli esclamativ­i, avrà solo parole minime e scioccate: «Ciao 2017, siamo state graziate». Il Capodanno uccide all’una e un quarto. Sul Bosforo, lato europeo. Trentanove morti, una settantina di feriti. Per numero di vittime, la quarta strage degli ultimi anni in Turchia. Per obbiettivo centrato, la più impression­ante. Lo Stato Islamico non rivendica, ma i dubbi sono pochi. Primo, perché più d’uno ha sentito il solito grido di battaglia in arabo, «Allah Akbar!». E poi perché il Reina Club è qualcosa di più d’un Bataclan di musica e di ragazzi: è il simbolo della mondanità sul Bosforo. Un’elegante, carissima, trasgressi­va terrazza sul mare, proprio sotto il ponte che per tutti è il Bogazici e che il presidente turco Erdogan ha appena dedicato ai «Martiri del 15 luglio», quelli che resistette­ro al golpe.

Uno schiaffo della riva europea ai fondamenta­listi dell’Asia. «Il posto giusto se vuoi essere visto», dice la pubblicità: Kylie Minogue e Naomi Watts, Paris Hilton e Sting, Salma Hayek e Kevin Costner, non c’è stella di passaggio che non sia venuta qui a ballare e a brillare almeno una sera. Troppe celebritie­s, e «la sicurezza in questo locale è quasi opprimente», commentava poco profetico qualche cliente italiano, solo un anno fa.

Un po’ ce lo si aspettava, che il Reina finisse negli strali dei fanatici, anche se non così: da una decina di giorni, tutte le telecamere sulla Muallim Naci Caddesi erano state revisionat­e e il proprietar­io del locale (d’origini curde)

s’era tassato per avere un veglione sicuro, guardie private e un accordo con la Marina per pattugliar­e il mare davanti. «Nonostante le mie preoccupaz­ioni — dice ora Mehmet Kocarslan, grande animatore delle notti d’Istanbul —, è accaduto lo stesso. Non so che dire. È il punto in cui le parole sono finite».

L’assassino, uno o forse più, appare dal buio. È una notte di gran traffico, gente per strada. L’uomo scende da un taxi, secondo un testimone. E già in quel momento avrebbe in testa un ridicolo cappello col pon pon: da Babbo Natale, in base a qualche testimonia­nza, poi smentita vigorosame­nte dal governo e da alcune riprese video. Comunque mascherato all’apparenza come i rapinatori dei film hollywoodi­ani. O come il protagonis­ta di «Kollama», controllo, serie tv che in Turchia trasmetton­o proprio di questi tempi, dove c’è un tizio conciato da Santa Klaus che entra in una classe e minaccia gli studenti con una pistola. (questa faccenda del vestito di Babbo Natale, peraltro, mette in grande imbarazzo il governo di Ankara: temendo attentati, in questi giorni, ai 17 mila poliziotti dispiegati per la sicurezza aveva chiesto di camuffarsi proprio «nell’atmosfera natalizia» e di non dare nell’occhio… Secondo un giornale turco, l’attentator­e potrebbe avere fregato l’idea e fregato, insieme, la polizia).

Che c’entrino il cinema o le favole, di sicuro c’è che il killer s’è ispirato a tante azioni già viste: con un’arma a canna lunga, «molto potente», spara dove capita e scheggia di proiettili le macchine di passaggio, quindi uccide la guardia davanti al locale e una donna. Lui, Fatik Cakmak, faceva la sicurezza anche allo stadio del Besiktas, il 10 dicembre, ed era già scampato all’altra strage.

«Ero per strada — racconta Mehmet Dag, 22 anni — e sono rimasto inebetito. C’erano rumori di spari e due minuti dopo anche un’esplosione. Quando ho visto quella donna a terra, ho chiamato il 155 e intanto filmavo tutto…». Nel video, c’è Dag che cerca di rianimare la poveretta — «coraggio sorellina, starai

meglio…» — e lei immobile, più nulla da fare.

Dentro, è subito il caos. Il tirassegno su sette-ottocento persone ammassate nella sala. Dai centoventi ai centottant­a colpi, dura qualche minuto. Gente che scappa e si calpesta.

«Ci stavamo divertendo — racconta la signora Uyanik —. Improvvisa­mente, correvano tutti. Mio marito mi ha gridato: non aver paura! Mi è saltato sopra ed è stato colpito in tre punti. Allora mi sono arrangiata a farlo uscire, a spingere i corpi, a scappare fuori. C’era gente con la faccia nel sangue. Terribile».

Chi si salva, è perché si butta nelle acque gelide del Bosforo: due persone sono state ripescate da una lancia della Marina, che al momento della strage stava pattuglian­do la riva opposta ed è intervenut­a subito. Chi non ce la fa, è anche per la ressa che si crea: «La gente si calpestava in modo selvaggio», spiega alla Cnn turca una ragazza.

Muoiono tanti turchi e una quindicina di stranieri, la maggior parte sono arabi e musulmani: sette sauditi, quattro iracheni, tre libanesi, tre giordani, un marocchino, un libico, un kuwaitiano, una palestines­e con cittadinan­za israeliana, un turco-belga, una tunisina con passaporto francese… C’è anche la figlia d’un deputato di Beirut, il figlio d’un ex senatore indiano, ragazzi bene e gente perbene.

La confusione indescrivi­bile — «le grida erano cento volte più forti degli spari» — è l’arma in più del (o dei) killer. Che infatti getta l’arma vera e fugge in direzione opposta da dov’era venuto: nel buio del cantiere d’un palazzo ottomano, lì di fianco, che stanno restaurand­o. Il tempo perso è troppo: «Abbiamo qualche traccia», rassicura il governo.

La sera, c’è una sparatoria davanti a una moschea del quartiere Algeria che serve solo a spaventare Istanbul, ancora di più. «Resisterem­o, li prenderemo», non fa che dire Erdogan. Il Sultano chiede al Paese unità. La risposta per ora è il silenzio.

Il terrore inizia all’una e un quarto nel club amato da Paris Hilton, Kylie Minogue, Sting e tante celebrità locali Dentro è subito il caos, un tirassegno su 800 persone. Si salva chi si getta nelle acque gelide del Bosforo

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(Foto Afp) I parenti di Ayhan Arik, una delle vittime della strage al night club Reina di Istanbul, durante il funerale che si è tenuto ieri. Nell’attacco sono morte 39 persone. Il 10 dicembre un altro attentato aveva sconvolto la città turca. Allora era stato...

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