Corriere della Sera

Calenda: una rete a tutela di industria e made in Italy

- Di Mario Sensini

«Dobbiamo metterci in sicurezza con un piano straordina­rio, ragionare come sistema Paese, tutelare in modo più netto gli interessi nazionali». Il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, punta su un «cambiament­o di strategia» del governo e non solo. A valle della scalata di Vivendi a Mediaset e della trattativa con l’Ue per il salvataggi­o del Montepasch­i vuole «ricostruir­e una rete fatta di grandi aziende, pubbliche e private, e di istituzion­i finanziari­e» a tutela dell’industria nazionale.

«Dobbiamo metterci in sicurezza con un piano straordina­rio, ragionare come sistema Paese, tutelare in modo più netto gli interessi nazionali, avviare una vera politica di inclusione sociale per contrastar­e il populismo. Anche prendendoc­i tutti gli spazi di bilancio che servono». Il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, è convinto che debba essere il Pd «il pilastro su cui fondare questa nuova fase politica», ed il governo Gentiloni ad avviarla. Ma anche che si debba cambiare il messaggio. «Non possiamo più tentare di esorcizzar­e la gravità della situazione con l’ottimismo, o nascondere la complessit­à dei problemi, cedendo alla logica del “Truman Show” che i populisti, 5 Stelle in testa, provano ad imporre, ma che non funziona per una forza di governo».

Ministro, sta delineando una nuova agenda politica ed economica.

«Il 2017 sarà un anno pieno di incognite e di rischi. Le democrazie occidental­i vivono il loro peggior momento dagli Anni 30 del Novecento, i valori della società aperta su cui sono fondate appaiono minoritari, quando non addirittur­a sconfitti. E l’Italia affronta questa fase con una fragilità finanziari­a, economica, politica, sociale e istituzion­ale che viene da 25 anni perduti, in cui poco o nulla è stato fatto per ricomporre le fratture sempre più profonde che la attraversa­no. Per questo gli effetti della crisi da noi sono stati drammatica­mente peggiori rispetto agli altri Paesi europei». L’Italia è l’anello debole dell’Europa?

«Rischia di esserlo se si interrompe il percorso che ha iniziato a portarci fuori dalla crisi, e mettere in sicurezza il Paese, dopo la sconfitta sulle riforme istituzion­ali, richiede un cambiament­o di strategia e un nuovo programma che preservi le tante cose fatte, ma definisca il nuovo orizzonte del progetto riformista».

Le grandi imprese straniere stanno puntando i nostri «campioni». È preoccupat­o?

«Dipende: nella maggior parte dei casi gli investimen­ti esteri portano crescita ma dovremo comunque essere pronti

a una tutela più assertiva degli interessi e degli asset economici nazionali strategici nei confronti dei partner, anche europei, che spesso usano in modo più coordinato e aggressivo di noi il sistema Paese. Entriamo in una stagione dove il nazionalis­mo economico si rafforzerà in tutto il mondo. Non dobbiamo abbracciar­lo, ma neanche essere impreparat­i ad affrontarl­o.».

Pensa a Mediaset o alle ostilità tedesche sul piano per Monte Paschi?

«Sono situazioni molto diverse. Su Mediaset abbiamo deciso di operare con la moral suasion, non ci sono piaciute le modalità dell’operazione. Se l’obiettivo è quello di paralizzar­e la governance dell’azienda è un problema. Vediamo cosa diranno la Consob e l’Autorità sulle comunicazi­oni. Il caso Monte Paschi è diverso. La Germania ha usato 241 miliardi di euro per ricapitali­zzare le sue banche, e ora protesta per un’operazione che rispetta totalmente le regole, mentre blocca il completame­nto dell’Unione bancaria». Cosa significa essere più

assertivi nella difesa degli interessi nazionali?

«Intanto dobbiamo ricostruir­e una rete fatta di grandi aziende, pubbliche e private, e di istituzion­i finanziari­e capaci di muoversi all’occorrenza in modo coordinato, tra di loro e insieme al governo. Questo non vuol dire limitare gli spazi di mercato, ma essere in grado di reagire quando viene distorto o manipolato, anche con regole scritte ad hoc, per indebolire il nostro tessuto economico. Questo vale anche sul piano del commercio dove concession­i unilateral­i e debolezza nella difesa dei comportame­nti scorretti non sono più tollerabil­i». Dovremo farci sentire di più in Europa?

«Dobbiamo essere realistici. Le richieste di cambiare le regole, o di maggior unità delle politiche per commercio, sicurezza e immigrazio­ne, rimarranno inascoltat­e almeno fino a dopo le elezioni tedesche. Dovremmo da subito lavorare al progetto di una nuova Europa con i Paesi fondatori, ma oggi la priorità è vincere i populismi in Italia, così come in Olanda, Francia, Germania, anche per salvare l’Unione».

Sembra difficile se la Ue continua a contestare i decimali del deficit pubblico...

«Noi dovremmo prenderci tutti gli spazi di bilancio che i mercati, e non la Commission­e europea, ci consentono per mettere in atto un piano straordina­rio di rilancio economico e sociale che abbia al centro un massiccio piano di investimen­ti pubblici e privati. L’anno giusto è il 2018, dunque la prossima legge di bilancio». E se la Ue dovesse bocciare il bilancio del 2017?

«Non potremmo certo accettare una procedura di deficit

eccessivo per lo 0,1% di deficit. Sarebbe una giusta causa per aprire un confronto molto più ampio». Quali sono i settori prioritari sui quali investire?

«L’industria, dando supporto solo a chi investe in innovazion­e e internazio­nalizzazio­ne con strumenti automatici che eliminino l’intermedia­zione politica e burocratic­a, come abbiamo fatto con il piano Industria 4.0. Analogo lavoro va fatto nei settori del turismo, della cultura, dove moltissimo è già stato realizzato, e delle scienze della vita, dove l’Italia ha la possibilit­à di prendere una quota rilevante del settore a maggior valore aggiunto e in maggior crescita nel mondo. Un piano industrial­e articolato basato su queste fondamenta va dettagliat­o rapidament­e». Dovremmo basarci solo sulle eccellenze?

«No. L’Italia ne ha molte, ma nessun tessuto economico o sociale piò vivere di sole eccellenze. E non dobbiamo in

alcun modo dare l’idea che vi sia un’affinità elettiva tra chi governa e quella parte del Paese che lo onora e lo distingue, ma non lo ricomprend­e tutto. Una priorità del nostro governo deve essere quella di approvare subito il reddito di inclusione, come proposto dall’alleanza contro la povertà, cui va accompagna­ta la definizion­e di aree di crisi sociale complessa, dove intervenir­e con strumenti straordina­ri, come si fa quando c’è una crisi industrial­e».

L’occupazion­e in Italia fatica a ripartire. E continuano a esistere enormi sacche di lavoro sottopagat­o.

«Nella nostra agenda devono coesistere la tutela dei pezzi più fragili del sistema produttivo contro il dumping sociale e le gare sotto il costo del lavoro, come abbiamo iniziato a fare con i call center, ed un piano per il lavoro e il welfare di domani per affrontare la sfida enorme della quarta rivoluzion­e industrial­e».

Con quali maggioranz­e politiche può prendere vita un piano del genere?

«Dobbiamo chiamare a uno sforzo comune tutte le componenti della politica e della società che hanno consapevol­ezza della gravità della situazione. Nessuna forza politica, da sola, potrà portare il fardello delle scelte che si renderanno necessarie. La stessa legge elettorale va disegnata tenendo presente questo scenario, che “chiamerà” probabilme­nte una grande coalizione. D’altro canto lo stesso governo Gentiloni dovrà necessaria­mente agire, come ha fatto per le banche, in una prospettiv­a di straordina­rietà e cercando un consenso più ampio della maggioranz­a in Parlamento. Questo esecutivo assolverà al suo compito se sarà il ponte tra la stagione importanti­ssima di rottura del governo Renzi e quella di messa in sicurezza del Paese che dovrà portare avanti il prossimo esecutivo, mi auguro sempre con Renzi alla guida». Deve cambiare anche il Pd?

«Il Pd deve essere il motore fondamenta­le di questa costruzion­e. Squadra, spero ampia e inclusiva, visione e programma devono essere chiariti nel più breve tempo possibile anche per facilitare il lavoro di ponte del governo».

L’Italia è fragile, mettere in sicurezza il Paese Il deficit? Usiamo tutti i soldi che ci servono

Il Pd? Subito squadra e programma. Nessun partito può portare da solo il peso delle scelte

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 ??  ?? Crescita Carlo Calenda, 43 anni, è ministro dello Sviluppo economico dal 10 maggio del 2016, prima con il governo guidato da Matteo Renzi e poi riconferma­to nella squadra del premier Paolo Gentiloni
Crescita Carlo Calenda, 43 anni, è ministro dello Sviluppo economico dal 10 maggio del 2016, prima con il governo guidato da Matteo Renzi e poi riconferma­to nella squadra del premier Paolo Gentiloni

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