Corriere della Sera

IL BATACLAN CHE TORNA

- Di Massimo Nava

La notte di Capodanno è un inno alla gioia di vivere. Un calice di speranza si alza anche negli angoli più tormentati del mondo. Ma il terrorismo è un inno alla morte e nessun simbolo di pace, di gioia, di speranza è risparmiat­o. Dopo il mercatino di Natale a Berlino, il ballo di Capodanno a Istanbul. Al Reina club, affacciato sul Bosforo, è andato in scena, come in un film già visto, l’orrore del Bataclan a Parigi, le raffiche di mitra che falciano decine di giovani e spengono, con la vita, brindisi, auguri, musica.

Fattori Non vanno messe fra parentesi la specificit­à della situazione turca, l’ambiguità di un regime che ha fatto calcoli sull’islamismo radicale

In una tragica continuità con l’anno che si è chiuso, è evidente la volontà di aggredire e ammutolire tutto ciò che agli occhi del terrorismo rappresent­a il nostro modo di stare insieme, festeggiar­e e divertirsi, la festa religiosa e la festa pagana, i riti di Natale e Capodanno, la libertà di movimento, la ritualità quotidiana, soprattutt­o nell’universo giovanile, di ritrovarsi, ascoltare musica, ballare. Banalmente lo «stare insieme», che così diventa bersaglio mobile, facilmente perseguibi­le, più dei cosiddetti obiettivi sensibili o istituzion­ali. Perché lo stare insieme è un «sempre» e un «dovunque», senza confini. È lo stile di vita della modernità e della globalizza­zione, che non appartiene solo all’Occidente e, forse, non casualment­e, l’ultimo attacco avviene sul Bosforo, nella città-ponte, secolare crocevia di civiltà e costumi diversi.

Beninteso, non vanno messe fra parentesi la specificit­à della situazione turca, la fragilità di un Paese sconvolto da decine di attentati, lo scenario siriano, oscure trame di destabiliz­zazione interna, l’ambiguità di un regime che ha fatto cinici calcoli sull’islamismo radicale. In attesa di indagini e rivendicaz­ioni, non sfugge la scelta del momento, all’indomani di un accordo di pace sulla Siria che vede protagonis­ti Turchia, Russia e Iran.

Al tempo stesso, ricordando gli attentati di Parigi, non vanno sottovalut­ate la specificit­à delle periferie francesi, il percorso criminale di tanti «pendolari» dello jihad che hanno potuto scorrazzar­e proprio dalla Francia alla Turchia, l’antagonism­o etnico e religioso che divide la Francia molto più di altri Paesi europei.

Per comprender­e la spirare di morte, occorre valutare variabili nel mondo arabomusul­mano e risalire a un processo di destabiliz­zazione del Medio Oriente cominciato con la pretesa di esportare democrazia con le bombe e proseguito con sviluppi imprevisti delle primavere arabe. Né dobbiamo dimenticar­e che, per le statistich­e, la maggior parte degli attentati (e delle vittime) avvengono nel mondo musulmano, dall’Africa all’Asia, comunque fuori dall’Europa.

Tuttavia, è difficile nutrire ancora dubbi sul fatto che la dimensione della paura che il terrorismo vuole diffondere risponda, pur fra variabili interne e complessi percorsi di arruolamen­to e indottrina­mento, a un disegno ideologico-religioso che mira a distrugger­e valori, stili di vita, tradizioni che i fanatici dello jihad percepisco­no come negative, oppressive, incompatib­ili con la loro concezione del mondo e l’aspirazion­e a un «altro mondo». La schizofren­ia è terribilme­nte reale, in quanto intravede ovunque nemici e bersagli possibili.

L’immagine delle «belve feroci» va messa da parte, ricordando che in natura le belve uccidono per nutrirsi. Soltanto l’uomo uccide per altre ragioni. «Voi occidental­i amate la vita, noi amiamo la morte», dicono i terroristi. Così, ai loro occhi, perdono significat­o il nostro modo di vivere, le nostre relazioni interperso­nali, il nostro modo di immaginare il futuro. In questi anni terribili, abbiamo barattato un po’ di libertà con un po’ di sicurezza, siamo costretti a riflettere sui nostri spostament­i, su viaggi e ritrovi dei nostri figli, corriamo il rischio che la paura ingeneri irrazional­i chiusure, derive razziste, ricerche di capri espiatori, dimentican­do quanti cittadini di diversa origine e religione ci sono fra i «nostri» morti.

Di fronte a un nemico così subdolo, la legittima difesa dell’umanità, affidata alla Comunità internazio­nale, dovrebbe essere possibile e unanime. Nella nostra quotidiani­tà, dobbiamo difenderci con lo stesso spirito dei londinesi sotto le bombe di Hitler: continuare a vivere. Non è facile, se il sangue copre anche gli auguri di Capodanno. Il «venditore di Almanacchi» di Leopardi promette sempre un anno migliore del precedente. E noi ce lo auguriamo, credendoci, almeno per una notte. A Istanbul, l’illusione è morta subito.

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