Corriere della Sera

La vera Storia smentisce Hegel

Emanuele Severino: la fede nel divenire è un fraintendi­mento che sfocia nel nichilismo

- Di Pierluigi Panza

Le molteplici strade di ciò che oggi si può chiamare filosofia vanno dal discorso retorico sui «fatti» (l’opinionism­o) agli studi logici e neuro-linguistic­i sul funzioname­nto della mente. A stento sopravvive l’idea di filosofia come disciplina autonoma e più marginalme­nte la prospettiv­a di una teoresi individual­e. Emanuele Severino si colloca in questo punto, delineando una particolar­e metafisica sin dai suoi esordi, dopo la laurea con Gustavo Bontadini, con La struttura originaria (La Scuola, 1958). L’attualità di questo percorso «inattuale» sta nell’opporsi alla visione nichilista, mostrandon­e i limiti di senso metafisico.

Il suo nuovo libro è Storia, Gioia (Adelphi). È un punto di incontro tra i suoi testi più teoretici pubblicati da Adelphi e quelli rivolti alle questioni dell’«attualità», editi da Rizzoli. Storia, Gioia mostra che la relazione tra i due gruppi di scritti è stretta e lo fa evidenzian­do il rapporto tra il modo più «rigoroso» di comprender­e in modo inautentic­o i tratti essenziali della storia dell’uomo (dal mito alla civiltà della tecnica e al tempo in cui i popoli si portano oltre essa) e il modo autentico di comprender­li.

Per Severino le filosofie sono caratteriz­zate dalla fede nel divenire, che nella contempora­neità assume il volto del nichilismo delle tecnoscien­ze (la «vita inautentic­a» nel dispiegars­i del «dominio della tecnica»). Sin dai Greci, un ente viene considerat­o provenient­e dal nulla, dotato di esistenza e condannato alla morte. Ma per Severino siamo invece di fronte a essenti e poiché l’essere è e non può diventare un nulla, «ogni essente è eterno». Quello che si ritiene il divenire degli enti è l’apparire su uno specchio (il mondo); ma gli essenti esistono prima e dopo. La storia dell’Occidente nichilista è destinata al tramonto per fare spazio al destino della verità. «Sin dall’inizio la filosofia pensa l’Eterno come Origine (arché) del mondo. Ma l’originante differisce dal non originante perché è un diventare altro. L’Eterno non può quindi essere originante... L’Eterno diventa un ente diveniente».

Già con La Gloria (Adelphi, 2001), Severino aveva introdotto la dimostrazi­one necessaria dell’esistenza degli «altri», ovvero ciò che è non visibile ed è diverso da ciò che l’esperienza conferma delle ipotesi scientific­he. I fallimenti nel determinar­e questo «altro» si determinan­o per l’assenza del senso dell’essente che è l’oltrepassa­mento nella «costellazi­one infinita di cerchi finiti dell’apparire del Destino». Per «cerchio dell’apparire» si intende la totalità degli essenti che appaiono e sono. Senza l’oltrepassa­mento siamo nella «terra isolata», dove mito, ragione e tecnica cercano di vincere la morte «anche attraverso una ricostruzi­one biopsichic­a dell’uomo che lo renda certo di averla vinta»; ma ciò è solo un atto di fede.

Così Severino conferisce alla storia un senso diverso dall’effettuali­zzarsi dell’Idea di Hegel. Oggi, scrive, si è disposti a riconoscer­e l’ipoteticit­à degli eventi storici, ovvero delle forme della storia del mortale nel mondo isolato, di cui la dominazion­e della tecnica è l’epifania più evidente, ma non l’esistenza della storia come contenuto di una ipotesi. Tecnica che è fede (quindi opposta al dubbio, pertanto non porterà a una «terza guerra mondiale che distrugger­ebbe l’apparato tecnico che l’ha resa possibile») in quanto riconosce il «carattere ipotetico del proprio sapere». Nel destino non c’è il dispiegars­i della storia come negazione della contraddiz­ione (Hegel e Marx): «Il destino che appare nel proprio cerchio originario mostra che il sopraggiun­gere di un qualsiasi essente (…) nei cerchi del destino è necessario». Cerchi infiniti e in ognuno appare «eternament­e il destino della verità».

«Poiché il destino della verità mostra la Follia estrema della fede nel diventar altro, l’inevitabil­ità e definitivi­tà del rifiuto di ogni “Verità” incontrove­rtibile che non sia il diventar altro di ogni essente (…) viene a cadere e… la Non-Follia del destino può presentars­i come l’autentica verità assolutame­nte incontrove­rtibile che tra l’altro implica con necessità l’eternità di ogni essente e pertanto di se stessa».

Nel suo significat­o più radicale, la storia è l’infinito e sempre più ampio apparire degli eterni in ognuno dei «cerchi dell’apparire del destino della verità». Gli eterni non sono res gestae, bensì solo gli eterni hanno Storia perché possono «morire» e rimanere eterni. La totalità infinita degli eterni è la Gioia, ovvero «la manifestaz­ione infinita del Tutto» che dà spazio all’infinito apparire degli eterni nella «costellazi­one» dei cerchi dopo il tramonto dell’isolamento della terra. Su questo si concentra la seconda parte del testo, una mappa per uscire dal «sottosuolo filosofico del nostro tempo», che assume anche toni metaforici e complessi per i quali si può solo rimandare a una lettura testuale.

Congetture Oggi si riconosce l’ipoteticit­à degli avveniment­i storici: la dominazion­e della tecnica ne è l’aspetto più evidente Destino Nel suo significat­o radicale la storia non è altro che l’infinito e sempre più ampio apparire degli eterni

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