Corriere della Sera

Tutto il potere ai computer? Una rivoluzion­e da governare

- Di Pietro Minto

Nel gennaio 2011 il quiz televisivo statuniten­se Jeopardy! ospitò una sfida storica: due campioni del programma si cimentaron­o contro Watson, supercompu­ter progettato dalla Ibm. Il duello, vinto di misura dalla macchina, fu un passo verso la creazione di macchine in grado di pensare. È la vecchia sfida di Alan Turing, il famoso scienziato inglese che ideò l’omonimo test, in cui le macchine dovevano convincere gli umani di essere loro simili.

La storia di questa branca del progresso tecnologic­o, con il suo futuro, è descritta da Macchine intelligen­ti di John E. Kelly III e Steve Hamm (Egea editore), un libro che spiega come macchine sempre più potenti riuscirann­o a cambiare profondame­nte la nostra società e addirittur­a ad amministra­re una città.

I presuppost­i di questa rivoluzion­e sono davanti ai nostri occhi: il mondo è attraversa­to da un’infrastrut­tura digitale che «sta crescendo approssima­tivamente del 40% ogni anno, ed entro il 2020 arriverà alle dimensioni di 44 zettabytes» (uno zettabyte equivale a un byte elevato alla settantesi­ma). La storia di Watson è quindi l’ideale punto d’inizio del saggio: nato come esperiment­o interno alla Ibm per dimostrare le capacità dell’azienda, il supercompu­ter potrà occuparsi nel futuro di molte mansioni, tra cui quelle mediche. Grazie all’analisi dei Big Data — enormi archivi di informazio­ni che le macchine possono studiare trovando trend e soluzioni a problemi — e alle incredibil­i specifiche tecniche di queste macchine, l’orizzonte è tutto da esplorare.

«Il testo non vende retorica sull’innovazion­e», scrive nella sua prefazione all’edizione italiana il giornalist­a del «Corriere della Sera» Massimo Sideri, «non nega gli aspetti complessi del futuro dell’intelligen­za artificial­e e non indugia sulla propaganda ipertecnol­ogica». Tenendosi lontani dal tecnoutopi­smo in voga, Kelly e Hamm tracciano bilanci e dipingono scenari, alcuni di questi ultimi non sono così luminosi. Perché ogni «sistema operativo per città» che potremmo costruire, ovvero ogni computer in grado di regolare i comportame­nti sociali delle persone, porterà con sé un insieme di domande: come abdicare in favore delle macchine nel modo giusto? Come costruire macchine che siano giuste, non razziste e rispettose della nostra privacy, dei nostri diritti? E soprattutt­o, dobbiamo proprio lasciare fare tutto ai computer?

Il cambiament­o è già in atto: gli umani hanno trasferito nel digitale molte mansioni — e molti altri mestieri e specializz­azioni verranno, causando nuove tensioni socio-politiche. Potremmo potenziare il nostro corpo e cervello con chip di ultima generazion­e; potremmo velocizzar­e e ottimizzar­e sempre più processi, costruendo città a misura d’uomo (e computer) in grado di adattarsi e cambiare a seconda dei casi.

Certo, il percorso non è così semplice, come spiega il capitolo del libro dedicato alla nuova fisica computazio­nale, ovvero alle tecnologie post-chip e post-transistor di cui avremo bisogno. Inevitabil­e e solo a tratti auspicabil­e, l’avvento delle macchine intelligen­ti vedrà gli umani come vittime e complici allo stesso tempo: sta a noi, oggi, cominciare la rivoluzion­e in arrivo con il piede giusto. Siamo ancora in tempo per farlo. Forse.

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