Tutto il potere ai computer? Una rivoluzione da governare
Nel gennaio 2011 il quiz televisivo statunitense Jeopardy! ospitò una sfida storica: due campioni del programma si cimentarono contro Watson, supercomputer progettato dalla Ibm. Il duello, vinto di misura dalla macchina, fu un passo verso la creazione di macchine in grado di pensare. È la vecchia sfida di Alan Turing, il famoso scienziato inglese che ideò l’omonimo test, in cui le macchine dovevano convincere gli umani di essere loro simili.
La storia di questa branca del progresso tecnologico, con il suo futuro, è descritta da Macchine intelligenti di John E. Kelly III e Steve Hamm (Egea editore), un libro che spiega come macchine sempre più potenti riusciranno a cambiare profondamente la nostra società e addirittura ad amministrare una città.
I presupposti di questa rivoluzione sono davanti ai nostri occhi: il mondo è attraversato da un’infrastruttura digitale che «sta crescendo approssimativamente del 40% ogni anno, ed entro il 2020 arriverà alle dimensioni di 44 zettabytes» (uno zettabyte equivale a un byte elevato alla settantesima). La storia di Watson è quindi l’ideale punto d’inizio del saggio: nato come esperimento interno alla Ibm per dimostrare le capacità dell’azienda, il supercomputer potrà occuparsi nel futuro di molte mansioni, tra cui quelle mediche. Grazie all’analisi dei Big Data — enormi archivi di informazioni che le macchine possono studiare trovando trend e soluzioni a problemi — e alle incredibili specifiche tecniche di queste macchine, l’orizzonte è tutto da esplorare.
«Il testo non vende retorica sull’innovazione», scrive nella sua prefazione all’edizione italiana il giornalista del «Corriere della Sera» Massimo Sideri, «non nega gli aspetti complessi del futuro dell’intelligenza artificiale e non indugia sulla propaganda ipertecnologica». Tenendosi lontani dal tecnoutopismo in voga, Kelly e Hamm tracciano bilanci e dipingono scenari, alcuni di questi ultimi non sono così luminosi. Perché ogni «sistema operativo per città» che potremmo costruire, ovvero ogni computer in grado di regolare i comportamenti sociali delle persone, porterà con sé un insieme di domande: come abdicare in favore delle macchine nel modo giusto? Come costruire macchine che siano giuste, non razziste e rispettose della nostra privacy, dei nostri diritti? E soprattutto, dobbiamo proprio lasciare fare tutto ai computer?
Il cambiamento è già in atto: gli umani hanno trasferito nel digitale molte mansioni — e molti altri mestieri e specializzazioni verranno, causando nuove tensioni socio-politiche. Potremmo potenziare il nostro corpo e cervello con chip di ultima generazione; potremmo velocizzare e ottimizzare sempre più processi, costruendo città a misura d’uomo (e computer) in grado di adattarsi e cambiare a seconda dei casi.
Certo, il percorso non è così semplice, come spiega il capitolo del libro dedicato alla nuova fisica computazionale, ovvero alle tecnologie post-chip e post-transistor di cui avremo bisogno. Inevitabile e solo a tratti auspicabile, l’avvento delle macchine intelligenti vedrà gli umani come vittime e complici allo stesso tempo: sta a noi, oggi, cominciare la rivoluzione in arrivo con il piede giusto. Siamo ancora in tempo per farlo. Forse.