Navigando in tv sulla barchetta di Ennio Flaiano
è Eugenio Montale, sornione, che dice: «Non posseggo la televisione nel mio appartamento», ma deve provvedere perché lo hanno appena nominato consulente televisivo, e sorride soddisfatto per il paradosso. C’è Beniamino Placido che lancia ironico la sfida di parlare dei Promessi sposi in tv «senza i professori, non contro i professori»: inaudito, profanazione. C’è Gabriel García Márquez che spiega che il suo non è «realismo magico», ma «realismo» e basta. Ci sono Alberto Arbasino che intervista Borges, François Truffaut che spiega perché ha voluto girare Fahrenheit 451, dove il potere totalitario brucia i libri, Allen Ginsberg che chiacchiera con Fernanda Pivano, Marc Chagall e Carlo Mazzarella, un gigante nella storia della televisione, che intervista Walt Disney impegnato a raccontare la nascita di Topolino imitandone la voce, e Ettore Scola che pronostica sarcastico «un sicuro futuro di intellettuale». Nella puntata intitolata «Immaginare» del programma Gli occhi cambiano di Walter Veltroni, che andrà in onda domani sera alle 23.20 su Raiuno, si resta sorpresi dalla quantità di perle che la Rai custodisce nei suoi archivi per spiegare il rapporto tra televisione e cultura.
Tantissima cultura che non annoia, che non grida, che racconta se stessa, che manifesta i suoi dubbi, che contamina l’alto e il basso, la dimensione popolare della comunicazione e la serietà anche ostica della riflessione e dell’elaborazione intellettuale. Un rapporto difficile, ma sempre senza spocchia. Comunicativamente aperto, ma sempre con lo sforzo di non banalizzare ciò che si dice. Perché questo è il punto su cui si concentrano le maggiori difficoltà in una relazione complicata e tutt’altro che scontata tra cultura e diffusione televisiva: il punto di equilibrio in cui i due lati non si consegnano mai interamente all’altro nello sforzo meritorio di unirsi. Per ottenerne un prodotto vivo, ma mai edulcorato, dove il potere della parola, della parola che incanta, e dell’immagine, che cattura con i suoi primi piani su volti pieni di vita e di intelligenza, non tradisce mai se stessa. Non è altezzosamente elitaria, e non è demagogicamente sbracata. Un equilibrio precario e difficile, e che pure la Rai ha più volte affrontato e che per fortuna oggi, nella serie di puntate curate e cucite da Veltroni, lo spettatore contemporaneo, non nostalgico, non ripiegato nel rimpianto del solito e sgradevole «oh, che bella la tv di una volta» può ritrovare nella sua freschezza originaria.
È semplicemente bello, senza nostalgia, ascoltare Montale che racconta divertito di come Dylan Thomas, che per motivi misteriosi lo detestava, si chiudesse addirittura in un armadio per non incontrarlo. E ascoltare Max Ernst che descrive «il desiderio di rivolta». E vedere il grande, grandissimo Ennio Flaiano che costruisce una barchetta con i foglietti degli appunti e la mette sulle onde e chissà la barchetta che fine farà. O Umberto Eco che dice che le religioni non si metteranno mai d’accordo se Gesù è figlio di Dio oppure no, ma tutti saranno d’accordo che Superman è Clark Kent: un modo sintetico eppure efficacissimo per spiegare la cultura di massa. E insieme la casa di Benedetto Croce: quanto di apparentemente meno televisivo? E una meravigliosa intervista al geniale e sulfureo Céline.
Quante cose della grande cultura contiene il piccolo schermo, e quanta cultura, senza spocchia e senza l’insopportabile sussiego dei reazionari travestiti da progressisti, può entrare nel piccolo schermo. Nella puntata del programma di Veltroni, un piccolo, ma significativo assaggio. Appunti per fare qualcosa di nuovo, ma seguendo un solco antico. Appunti di carta per farci una barchetta, come quella di Flaiano.