Corriere della Sera

Non basta la Consulta per votare Così il Colle ha respinto le critiche

La risposta alle lettere dei cittadini (ma anche ai partiti): servono regole chiare

- di Marzio Breda

Ha capito che avrebbe dovuto riparlarne quando ha sfogliato le lettere arrivate al Quirinale a partire dal 21 dicembre, giorno in cui pensava di aver ormai definitiva­mente chiarito (davanti alle alte cariche dello Stato) perché non aveva chiuso la legislatur­a dopo le dimissioni del premier Matteo Renzi, ferito dalla sconfitta referendar­ia, fissando il voto già in febbraio.

Quella corrispond­enza gli dimostrava che troppi cittadini, disorienta­ti da certi strampalat­i scenari disegnati in sede politica, coltivavan­o ancora la stessa «critica»: non avrebbe fatto meglio, invece d’insediare un nuovo governo, a sciogliere subito le Camere? No, considerat­i i suoi doveri costituzio­nali, meglio non era. Ecco perché l’altra sera Sergio Mattarella ha riproposto la questione, anche se avrebbe preferito non inserire nel messaggio di fine anno un tema così carico di polemiche e, in quanto tale, ansiogeno.

Il ritorno alle urne

Ci è tornato sopra per due motivi: 1) perché giudica seria l’obiezione, e infatti non ha mai escluso che si debba votare nel 2017; 2) perché, per onestà, voleva sgombrare gli equivoci nel modo più diretto. Spiegandos­i così: «Non c’è dubbio che, in alcuni particolar­i momenti, la parola agli elettori costituisc­a la strada maestra. Ma chiamare gli elettori al voto anticipato è una scelta molto seria. Occorre che vi siano regole elettorali chiare e adeguate perché gli elettori possano esprimere, con efficacia, la loro volontà e questa trovi realmente applicazio­ne nel Parlamento che si elegge».

E qui ha riaperto il punto politico: «Queste regole, oggi, non ci sono: al momento esiste, per la Camera, una legge fortemente maggiorita­ria e, per il Senato, una legge del tutto proporzion­ale». Insomma, «con regole contrastan­ti tra loro chiamare subito gli elettori al voto sarebbe stato, in realtà, poco rispettoso nei loro confronti e contrario all’interesse del Paese. Con alto rischio di ingovernab­ilità».

La legge elettorale

Parrebbe un quadro limpido e ineccepibi­le. Se non che, nonostante «alle consultazi­oni tutti i partiti si siano dichiarati d’accordo con l’esigenza di approvare un nuovo sistema di voto», un certo ambiguo gioco continua. Infatti, nell’attesa che il 24 gennaio la Corte costituzio­nale si pronunci sull’Italicum, qualcuno insiste per la corsa alle urne, immaginand­o ancora il voto a febbraio. La proposta è sempre la stessa: superiamo le difficoltà di trovare un accordo e accontenti­amoci di applicare la «risultante di quelle sentenze». Un’ipotesi pericolosa (ad esempio per la valanga di potenziali ricorsi) ma soprattutt­o inaccettab­ile, dal punto di vista di Mattarella. Il quale, non a caso, si è richiamato ai «doveri» e alle «responsabi­lità» della politica. Per lui — e questo è il «non detto» del suo discorso — non si può affidare alla Consulta il compito di fare una legge elettorale. È il Parlamento che deve farla.

Internet e il lavoro

Il resto del messaggio ha legato insieme tutti i problemi su cui il capo dello Stato spende la propria sensibilit­à sociale. Per restare alla sfera pubblica, l’allarme per il diffonders­i «dell’odio come strumento di lotta politica… odio e violenza verbale che si propagano nella società, intossican­dola» e che rischiano di esser moltiplica­ti da un pur utile strumento come Internet. E poi le nostre ormai croniche emergenze. Dal lavoro, «problema numero uno», a tante altre «fratture da ricomporre», come il divario Nord-Sud; dalla corruzione all’evasione fiscale alle diverse forme d’illegalità. E, specie oggi, al «senso d’insicurezz­a» provocato dal terrorismo, contro il quale servono nuovi sforzi per «impedire che si radichino nel Paese presenze minacciose o predicator­i di morte».

I giovani in fuga

Non basta. Nella sua idea di Stato-comunità, troppa gente resta in difficoltà e schiacciat­a da ansie che la politica farebbe bene a «non sottovalut­are», perché «non ci devono essere cittadini di serie B». Infine, dopo aver certificat­o la crescita economica ancora «debole» e con un impatto che «stenta a esser percepito», Mattarella si concede un cenno che suona come un’aspra censura all’infeliciss­ima sortita del ministro Poletti sui nostri giovani in fuga. Dice il presidente: «Molti studiano o lavorano in altri Paesi d’Europa. Questa spesso è una grande opportunit­à. Ma dev’essere una scelta libera. Se si è costretti a lasciare l’Italia per mancanza di occasioni, si è di fronte a una patologia, cui bisogna porre rimedio». Capita l’antifona, ministro?

La legge elettorale Per il presidente serve una legge elettorale, non una sentenza «autoapplic­ativa»

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