Corriere della Sera

Un nocciolo di soci italiani al fianco di Mediaset

Sarebbe un gruppo di azionisti con un 15-20% del capitale. La soglia del 51% e le regole dell’opa A metà gennaio la presentazi­one a Londra del piano industrial­e 2020. Le mosse di Vivendi

- di Fabrizio Massaro

«I due campi passeranno Natale in famiglia. Un riposo meritato prima di cominciare, a inizio 2017, il terzo atto di questa opera tragica»: ripercorre­ndo la battaglia tra la francese Vivendi e Fininvest per il controllo di Mediaset, si concludeva così, pochi giorni fa, una lunga ricostruzi­one del quotidiano francese Le Figaro sulla scalata al gruppo tv italiano.

Oggi che riapre la Borsa dopo la pausa di fine anno, si rivedranno i movimenti delle truppe schierate, anche se dopo il blitz che dal 12 dicembre in due settimane e grazie alla banca Natixis ha portato il gruppo di Vincent Bolloré dal 3% al 29,77% dei diritti di voto nel Biscione, a Piazza Affari sono rimaste ben poche azioni da conquistar­e. Si cominciano quindi a fare i conti con i possibili alleati. E Silvio Berlusconi, che essendosi portato dal 34% al 39,7% di Mediaset non può incrementa­re ancora la quota di Fininvest fino al prossimo aprile senza dovere lanciare un’opa, potrebbe trovarsi accanto i «comitati per l’italianità di Mediaset». Era stato lo stesso Cavaliere a coniare la definizion­e per questi azionisti del gruppo di Cologno Monzese: «Per arrivare al 51% io spero che quei comitati per la difesa dell’italianità di Mediaset possano portarci a contare sul voto di circa il 20% delle azioni che sono nelle mani di differenti azionisti», aveva detto lo scorso 21 dicembre durante la presentazi­one del libro di Bruno Vespa. Era la dichiarazi­one di un pericolo imminente: appena pochi giorni dopo Vivendi incrementa­va ulteriorme­nte la quota fino alla soglia massima consentita prima dell’opa obbligator­ia (che peraltro i francesi non hanno mai escluso di potere lanciare).

Soci storici

Allora, la chiamata a difesa di Mediaset era sembrata una boutade. Nessuno aveva mai sentito parlare dei «comitati» per Mediaset italiana. Eppure qualcosa di vero ci sarebbe. Secondo fonti a conoscenza della situazione, Berlusconi sarebbe stato direttamen­te contattato da alcuni azionisti, piccoli soci ma anche con quote corpose, che si sono detti pronti a sostenere le posizioni di Fininvest. Si tratterebb­e in particolar­e di soci storici, gente che è dentro il capitale del gruppo televisivo fin dai tempi della quotazione di ormai vent’anni fa, uno sbarco in Borsa guidato allora da Banca di Roma e Banca Imi. A conti fatti, in questo modo la famiglia Berlusconi avrebbe dalla sua un esercito ausiliario che porterebbe il fronte italiano in maggioranz­a assoluta dentro Mediaset, così da neutralizz­are le mosse dei francesi.

A Londra

Gennaio si annuncia dunque come un mese molto caldo per il controllo del gruppo. Vivendi non ha ancora dato indicazion­i puntuali sulla strategia che vuole seguire né ha fatto capire se in questa partita sarà prima o poi coinvolta Telecom Italia, di cui Vivendi è primo azionista con il 24,7% . Arnauld de Puyfontain­e, amministra­tore delegato del colosso francese che controlla fra le altre cose la pay tv Canal+, ha solo dichiarato pochi giorni fa al Corriere della Sera che «l’obiettivo finale è un’alleanza per creare una media company europea di dimensioni mondiali, con un approccio latino e contenuti di grande qualità, in grado di competere con giganti come Amazon Prime e Netflix».

Il gruppo guidato da Pier Silvio Berlusconi invece si prepara ad illustrare agli investitor­i internazio­nali — erano quasi 700 i fondi presenti nel capitale di Mediaset, lo scorso aprile — il piano industrial­e per il prossimo triennio, fino al 2020. L’appuntamen­to è per metà mese a

Il pressing Il pressing del gruppo francese di Bolloré sulla governance

Londra. Un incontro rinviato per mesi a causa degli scontri con Vivendi, tra ricorsi al tribunale, esposti a Consob e Procura di Milano e richieste per 1,5 miliardi di euro di danni per l’aver stracciato il contratto di alleanza su Premium (la causa contro quello che Berlusconi considera l’inizio del «tradimento» di Bolloré comincia il 21 marzo).

Lì si capirà dove vuole andare Mediaset, quali siano le strategie e le proposte sulla tv a pagamento, su quella tradiziona­le free, su tutto il mondo «over the top» cioè le offerte Internet, le radio e così via. Ma anche quali siano le strade per resistere all’assedio di Vivendi o se invece sarà inevitabil­e negoziare un accordo, come vuole Bolloré. Qualche casa d’affari ha ipotizzato che Mediaset potrebbe mettere sul mercato Premium in modo da sottrarla al possibile bottino dei francesi. Altri analisti vedono come possibile un qualche tipo di accordo, come per esempio Mediobanca Securities. Di certo c’è che in questa battaglia Berlusconi può contare sul sostegno del mondo politico italiano, a cominciare dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ma anche di due colossi della finanza come Intesa Sanpaolo e Unicredit.

L’assemblea

È possibile che alla fine i francesi non lancino l’opa: costerebbe fino a 7 miliardi di euro, dovendo essere estesa a cascata su Mediaset Espana e su Ei Towers. Ma potrebbero cominciare un pressing sul gruppo per costringer­e i Berlusconi a sedersi al tavolo. Una mossa che nel gruppo tv si attendono è che Vivendi chieda la convocazio­ne di un’assemblea per ampliare i posti nel consiglio di amministra­zione che scade nel 2018: oggi sono 17 ma possono arrivare a 21.

Ma un conto è proporre, un altro è approvare. Lì serve la maggioranz­a delle azioni. E se al 40% dei voti di Fininvest si aggiungess­ero anche quelli dei «comitati» degli amici di Berlusconi, l’assalto francese potrebbe essere respinto. Ma ci sono altre truppe sulle quali Bolloré può contare? La scalata a Mediaset ha fatto impennare il titolo dell’80% in un solo mese a 4,11 euro per una capitalizz­azione totale di 4,8 miliardi ma ha anche fatto passare di mano più del 52% delle azioni, metà delle quali ancora senza un destinatar­io dichiarato. Potrebbero anche essere state costruite posizioni attraverso opzioni o derivati, che quindi non appaiono immediatam­ente. La Consob sta comunque monitorand­o le mosse sul titolo. Resta che ormai il flottante di Mediaset è molto scarso: se si esclude il 70% in mano ai due contendent­i e il 15% circa controllat­o da fondi istituzion­ali stabili, il resto è in mano ai piccoli azionisti, il cosiddetto retail. Tra questi ci sarebbero i «comitati». Pronti alla guerra di trincea.

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Confronto A sinistra, il finanziere francese Vincent Bolloré che, tramite Vivendi, è arrivato a sfiorare il 30% di Mediaset. A destra, l’amministra­tore delegato del gruppo del Biscione, Pier Silvio Berlusconi
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