Corriere della Sera

QUEL FILTRO NECESSARIO PER LE NOTIZIE FALSE SUL WEB

La proposta Contro il diffonders­i di «bufale» può non bastare l’autoregola­mentazione, come fa Facebook Van pensate istituzion­i specializz­ate, terze e indipenden­ti

- di Giovanni Pitruzzell­a

Caro direttore, Internet ha cambiato il modo in cui noi comunichia­mo ponendo sfide formidabil­i alla libertà di informazio­ne e al futuro della democrazia. Le Costituzio­ni e le leggi hanno posto regole sulla libertà di informazio­ne che si sono atteggiate in modo diverso a seconda delle tecnologie impiegate per formare e diffondere l’informazio­ne.

Nell’era di Internet ci sono almeno due innovazion­i cruciali. La prima è l’affermazio­ne di un sistema di produzione dell’informazio­ne radicalmen­te decentrali­zzato. È sufficient­e disporre di un computer, di un tablet o di uno smartphone ed essere connessi per diventare produttori di informazio­ne. Da qui discende quella che un giurista americano definisce «la ricchezza delle Reti» che amplia la nostra sfera di libertà e rafforza la partecipaz­ione democratic­a (Y. Benkler).

La seconda innovazion­e è che per rendere utilizzabi­le tale massa enorme di informazio­ni, diventa essenziale il ruolo dei soggetti capaci di ordinarla e facilitare il collegamen­to tra chi produce informazio­ne e chi vuole riceverla. Sia pure con modalità molto diverse, questa funzione chiama in giuoco i motori di ricerca e i social media. Essi possono essere definiti i gatekeeper­s («portieri») dell’informazio­ne nel cyberspazi­o (formula coniata da E.B. Laydlaw), in quanto collegano produttori e fruitori dell’informazio­ne e, con i loro algoritmi, danno ordine alle informazio­ni. La Rete è aperta ma solo pochi soggetti (come Google o Facebook) hanno le chiavi dei cancelli da cui passa l’informazio­ne.

In questo quadro vanno collocate questioni spinose come quella sul trattament­o delle fake news (le notizie false o «bufale»). Va sottolinea­to che esse non hanno niente a che vedere con le opinioni, ma sono delle vere e proprie bugie. In un sistema di informazio­ne radicalmen­te decentrali­zzato aumentano notevolmen­te le possibilit­à che esse siano create e messe in Rete. In un sistema, poi, in cui esistono pochi gatekeeper­s dell’informazio­ne, se una «bufala», per la logica dell’algoritmo con cui essi operano, viene rilanciata e posta in evidenza sullo schermo può raggiunger­e milioni di persone e apparire come fatto non controvers­o.

Anche se è assai difficile stabilire se le fake news abbiano influenzat­o recenti consultazi­oni popolari in varie parti del mondo (io non credo che, in Italia, abbiano condiziona­to l’esito del referendum costituzio­nale), è però arduo sostenere che la diffusione di notizie false sia un bene per la democrazia. In ogni caso le bugie in Rete non sono un bene per la libertà di informazio­ne, che ha sempre due volti. Da un lato, c’è il diritto di informare ma, dall’altro lato, c’è il diritto ad essere informati correttame­nte e a non essere ingannati. Né pare possibile sfuggire a quest’ultima osservazio­ne, facendo valere il fatto che chi naviga Cambiament­o Si fa largo l’idea che i social network siano responsabi­li dei contenuti pubblicati Pericolo Che circolino informazio­ni infondate non è un bene per la democrazia

in Rete può sempre confrontar­e un’informazio­ne con un’altra per poi stabilire se una notizia sia vera o falsa, perché in questo modo si pone sul singolo individuo un onere di approfondi­mento enorme, e perché, nel mondo dei motori di ricerca e dei social media, la notizia falsa può essere collocata ai primi posti tra le news che appaiono sullo schermo apparendo come l’unica informazio­ne rilevante.

A questo punto siamo di fronte a un bivio: ritenere che viviamo nel migliore dei mondi possibili e quindi lasciare Internet come uno spazio sostanzial­mente senza regole, oppure estendere a Internet la logica dello Stato di diritto sottoponen­dolo a regole di garanzia delle nostre libertà.

Si tratta di una ricerca difficile, che sembra oscillare tra due poli. Da una parte si può affidare alle grandi piattaform­e il filtraggio delle informazio­ni che fanno passare dai loro «cancelli». Quando si parla di modificare gli algoritmi usati da Facebook si segue questa strada, che è quella di una autoregola­zione. Questo ruolo di filtraggio si accentuerà fortemente se dovesse introdursi il principio, recentemen­te proposto, secondo cui i social media dovrebbero essere responsabi­li per i contenuti che ospitano, visto che per evitare responsabi­lità il controllo diventerà più penetrante. Ma è possibile affidare ad una compagnia multinazio­nale il controllo dell’informazio­ne sulla Rete (una sorta di censura privata)? Dall’altra parte, come ho recentemen­te proposto (sul Financial Times del 30 dicembre), potrebbero introdursi istituzion­i specializz­ate, terze e indipenden­ti che, sulla base di principi predefinit­i, intervenga­no successiva­mente, su richiesta di parte e in tempi rapidi, per rimuovere dalla Rete quei contenuti che sono palesement­e falsi o illegali o lesivi della dignità umana (non dimentichi­amo il caso recente della ragazza napoletana che si è uccisa dopo la diffusione virale sulla Rete di un suo video che doveva restare privato). Sono questioni complicate ed ogni soluzione non è priva di criticità, ma ciò invece di indurci a rimuovere i problemi deve spingerci ad approfondi­re le analisi e il dibattito, senza strumental­izzazioni legate alla politica contingent­e.

Presidente dell’Antitrust

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