Corriere della Sera

SUL LAVORO GIOVANILE SERVE UNO SFORZO IN PIÙ (E MENO RETORICA) Emergenza I voucher vanno limitati e gestiti meglio, ma non demonizzat­i. E si rilanci l’apprendist­ato

- di Ferruccio de Bortoli SEGUE DALLA PRIMA

Ogni volta che se ne parla prevalgono i toni paternalis­tici. L’argomento è trattato con un misto di rassegnazi­one secolare. Come se non si potesse fare quasi nulla. Al pari del riscaldame­nto climatico. E le nuove generazion­i esprimono il loro disagio andandosen­e o votando, com’è accaduto il 4 dicembre, contro il governo.

Nei giorni scorsi, e per la prima volta, è stata pubblicata la nota trimestral­e congiunta sulle tendenze dell’occupazion­e a cura del ministero del Lavoro, dell’Istat, dell’Inps e dell’Inail. Nel terzo trimestre del 2016, il livello complessiv­o dell’occupazion­e è cresciuto, soprattutt­o nella componente del lavoro dipendente, con un saldo positivo (attivazion­i meno cessazioni) di 93 mila unità. Si è discusso molto sull’abnorme quantità dei voucher che, nei nove mesi, sono stati 109,5 milioni, il 34,6 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In realtà, com’è scritto nella nota, corrispond­ono solo a 47 mila lavoratori annui full time. Limitare e regolament­are di più i voucher è certamente necessario, ma non va dimenticat­o che rappresent­ano lo strumento, seppur abusato, per far emergere il lavoro nero, strappando­lo allo sfruttamen­to e, non di rado, alla criminalit­à. Se si limita l’istituto giuridico, non si argina automatica­mente il fenomeno, forse addirittur­a lo si amplia.

Gli ultimi dati sull’occupazion­e mostrano una situazione del lavoro giovanile che, a lungo, la retorica sui meriti veri o presunti del Jobs act ha sottratto a una corretta valutazion­e. Nel terzo trimestre del 2016 abbiamo perso, nella classe di età tra i 15 e i 34 anni, ben 55 mila occupati. È questo il dato che dovrebbe balzare subito agli occhi e preoccupar­e di più. Invece è nascosto tra gli altri.

Un’analisi più approfondi­ta sull’occupazion­e giovanile non può prescinder­e da un serio esame sul funzioname­nto di Garanzia Giovani, programma finanziato dall’Unione Europea. Nel 2015 l’Italia è stato il Paese che ha fatto il maggior ricorso ai tirocini. Se nell’Europa a 28, il 70 per cento delle offerte ai giovani era composto da contratti veri e propri, in Italia la percentual­e di tirocini era elevata in modo anormale. Il 60 per cento contro la media del 15 a livello europeo. A dimostrazi­one che lo strumento anziché essere usato per promuovere l’inseriment­o dei giovani nelle aziende, è largamente impiegato al solo scopo di ridurre il costo del lavoro. In tutti i Paesi in cui l’apprendist­ato è sviluppato, non vi è una grande differenza fra il tasso di disoccupaz­ione giovanile e quello complessiv­o. Non vi è in sostanza alcun gap generazion­ale. Quello che accade in Germania, Austria, Olanda e Danimarca, dovrebbe far riflettere sull’opportunit­à di spingere di più sull’apprendist­ato di primo livello ancora troppo trascurato dalla contrattaz­ione collettiva.

L’alternanza scuola-lavoro può costituire un’opportunit­à straordina­ria e agevolare i contratti di apprendist­ato. Ma è immiserita da ostacoli e pregiudizi. Non pochi insegnanti la consideran­o un intralcio ai programmi. E non pochi imprendito­ri un’ulteriore incombenza burocratic­a. Dovrebbe invece essere il nucleo formativo di un futuro percorso di lavoro, un passaggio ineludibil­e nell’acquisizio­ne di una cittadinan­za piena. Gli studenti sono i vasi di coccio di due mondi, quello della scuola e del lavoro, che faticano a dialogare imprigiona­ti nei loro pregiudizi. Gli esempi positivi, che non mancano, generano un prezioso e diffuso dividendo sociale. La fiducia nel futuro si costruisce in questo modo. Le assunzioni dei giovani al di sotto dei 29 anni mediante contratto di apprendist­ato sono solo il 10 per cento. Pochissime.

Le regole sono importanti — vanno certamente discusse e cambiate — ma manca spesso un po’ di buona volontà. Quella che traspariva dalle parole, pronunciat­e in parallelo, sia dal presidente della Repubblica sia dal Papa. Non è inutile, proprio all’inizio di un anno difficile, lanciare un piccolo appello («Un apprendist­a in più») che almeno susciti qualche riflession­e. Diretto ai datori di lavoro, ma non solo. Un po’ a tutti. Siamo sicuri che non si possa, ognuno nel proprio ambito, fare qualcosa di più per dare un’opportunit­à ai giovani? Davvero non si può fare uno sforzo supplement­are? In Italia le cattive abitudini sono contagiose, ma i buoni esempi lo sono per fortuna di più.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy