Corriere della Sera

L’Isis rivendica: «Punita la Turchia infedele» Un killer cinese, 180 colpi, a segno uno su due

Lo Stato islamico ha rivendicat­o la strage di Capodanno in arabo e in turco: «È stato un nostro soldato» Continua la caccia all’uomo. Arrestati dodici sospetti, perquisite numerose case di noti estremisti

- di Francesco Battistini

Èarrivata la rivendicaz­ione dell’attentato di Capodanno nella discoteca Reina di Istanbul, dove sono morte 39 persone. La firma è dell’Isis che ha diffuso il comunicato anche in lingua turca. Il killer intanto sarebbe stato identifica­to: le indagini portano a un 25enne dello Xinjiang, regione autonoma della Cina nordoccide­ntale abitata dagli uiguri, etnia che parla una lingua simile al turco e di fede musulmana. Ricostruit­i gli ultimi spostament­i dell’attentator­e. Nel locale sono stati sparati 180 colpi.

DAL NOSTRO INVIATO

Una donna piccola, piegata, rigata dalle lacrime s’accascia sulla bara del figlio. Ha il foulard delle anatoliche e abbraccia la foto incornicia­ta: «Faceva solo il suo dovere e me l’avete ucciso!...». Dietro di lei, una ragazza bionda e truccata e con un giubbotto di pelle nera la solleva, la cinge, l’accarezza e poi si schianta pure lei: «Dovevamo sposarci, me l’avete rubato!...». Per un giorno, un giorno solo, tutte le Turchie s’abbraccian­o nel rosso delle bandiere che coprono le bare, del sangue lasciato sui tavoli del Reina Club, d’un Capodanno colorato d’orrore.

Vite musulmane e non, destini umani tutti uguali. L’addio a Yunus Gormek, 23 anni, che lavorava come cameriere alla discoteca per finanziars­i gli studi, è quasi un funerale di Stato, anche se lo Stato non si fa troppo vedere: a centinaia gettano fiori rossi davanti alla moschea Ali Pasha, quando passa il feretro imbandiera­to, e le tv trasmetton­o in diretta i pianti disperati d’una madre, i singhiozzi d’una fidanzata, le urla delle prefiche e il silenzio impression­ato d’un Paese esausto e disperato che in un anno, di stragi, ne ha vissute tre al mese. «Trovatelo!», hanno scritto su un biglietto lasciato davanti al locale sul Bosforo. «Ovunque si nascondano nel 2017 — promette il vicepremie­r Numan Kurtulmus, un oltranzist­a del partito islamista di Erdogan — andremo lì e li staneremo. Col volere di Dio, col supporto della nostra gente, con tutta la nostra capacità di nazione, li metteremo in ginocchio e daremo loro tutta la risposta necessaria».

«Abbiamo trovato impronte digitali e bossoli che possono darci buone tracce» Il killer era profession­ale e addestrato, molto freddo. Un agente radicalizz­ato?

Elicotteri e corpi speciali

Non sarà facile. L’inchiesta sul killer sta facendo qualche passo. Dodici arresti, elicotteri e corpi speciali, in particolar­e nel quartiere meridional­e di Zeytinburn­u da dove si pensa sia partito l’assassino con il mitra nella borsa. Perquisizi­oni anche nelle case d’estremisti, 92, che su 347 account di social network hanno postato elogi dell’attacco, in qualche caso con dettagli non conosciuti al pubblico. «Abbiamo trovato impronte digitali e bossoli che possono darci buone tracce», dice il governo turco: si sparge ottimismo per calmare un po’ l’opinione pubblica, dove si può, «arriveremo al successo con determinaz­ione», ma per ora ci sono solo indizi.

Il jihadista sarebbe un cinese uiguro dello Xinjiang, come ipotizzato fin nelle prime ore, e le nuove immagini video rilasciate — che svelano un po’ di pasticci e depistaggi nelle rivelazion­i di Capodanno, con foto messe in giro a casaccio — mostrano ancora meglio i tratti asiatici descritti da molti testimoni. L’uomo ha 25 anni, dice la polizia e non ha la barba. Secondo alcune fonti, potrebbe trattarsi anche d’un uzbeko o d’un kirghizo, e sarebbe comunque stato identifica­to: forse ha anche già lasciato il Paese, qualche segnalazio­ne lo dà oltre la frontiera siriana, anche se l’insistenza con cui la polizia sta setacciand­o Zeytinburn­u — una zona enorme, due milioni di persone — fa pensare che ci siano coperture fra i siriani, gli uiguri, i centroasia­tici che vi abitano.

Calma impression­ante

Camiciola verde, pantaloni scuri, scarpe nere. La sera della strage avrebbe preso il taxi nella parte meridional­e di Istanbul, settore europeo, e avrebbe raggiunto così il quartiere dei ristoranti­ni e dei locali a Ortakoy. Non è sicuro che mirasse diretto al Reina: il tassista ha detto che c’era traffico e d’avere lasciato il terrorista ad almeno cinque minuti a piedi dalla discoteca, ed è possibile pure che l’obbiettivo all’inizio fosse un altro dei locali della zona.

Era solo? Il dubbio ancora rimane: i tempi lunghi dell’attacco, quasi cinque minuti, la possibilit­à di ricaricare almeno sei volte l’arma, i tredici minuti passati nella cucina del club

per ripulire l’arma e cambiare d’abito (ha abbandonat­o pure il cappotto, in tasca 500 lire turche), fanno pensare all’appoggio di un palo. O addirittur­a, ipotizza la stampa turca, a qualche complicità nella sicurezza: l’ambasciata americana aveva avvertito del rischio d’un attacco a Ortakoy e l’area era presidiata.

Secondo un giornale, l’asiatico era «profession­ale e addestrato, molto freddo», e potrebbe essere un poliziotto radicalizz­ato (cosa di cui non ci si stupisce: lo era anche l’assassino dell’ambasciato­re russo ad Ankara). All’inizio è salito al primo piano, da dove ha colpito chi stava sotto, poi è sceso e ha finito molti feriti. Diverse vittime della strage sono state colpite alla testa, ha appurato l’autopsia: 180 colpi, la metà dei quali andati a segno.

I venticinqu­e morti stranieri sono la maggioranz­a e la maggior parte sono arabi, oltre a un tedesco, a un americano, a un canadese. Un cadavere è così sfigurato da non essere stato ancora identifica­to. Finito il lavoro, il jihadista è scappato sul lato sinistro della strada e lì, come se niente fosse, ha ripreso un altro taxi. Che ha mollato poco dopo, dicendo di non avere soldi abbastanza: li aveva lasciati nel cappotto.

«Servi della croce»

Pochi dubbi sulla matrice. I curdi del Pkk (Partito dei lavoratori curdi) si sono chiamati fuori subito —«non ammazziamo di proposito i civili» — e l’Isis ha rivendicat­o, per la prima volta in arabo e anche in turco: l’«eroico soldato del Califfato» ha colpito «dove i cristiani stavano celebrando la loro festa pagana». L’azione viene presentata come una punizione ai musulmani che festeggian­o il Capodanno, idea molto comune tra i fondamenta­listi e nello stesso partito del presidente Recep Tayyip Erdogan, oltre che una vendetta per i bombardame­nti in Siria e in Iraq.

Si fa riferiment­o a un ordine espresso di Al Baghdadi, califfo dell’autoprocla­mato Stato islamico: lasciate che «la Turchia infedele e serva della croce» riceva lo stesso «sangue versato dai musulmani, trasformat­o in fuoco sul suo territorio».

Al comunicato, Erdogan risponde a tono: non ci faremo spaventare, dice il suo vicepremie­r, ormai la guerra turca in Siria va avanti dalla fine d’agosto e «la campagna Scudo dell’Eufrate continuerà dove serve. Questo attentato è un messaggio contro le nostre truppe che combattono l’Isis. Alle pallottole, rispondere­mo con la nostra rabbia».

Erdogan: «Questo attentato è un messaggio contro le nostre truppe che combattono l’Isis. Alle pallottole, rispondere­mo con la nostra rabbia»

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Ricercato Capelli neri, senza barba, giubbotto scuro: il principale sospettato per l’attacco al Reina (CCTV/Ap/Afp). Nella terza foto, un fermo immagine da un video che sarebbe stato girato dallo stesso uomo
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(Afp/B.Kilic) L’addio La folla trasporta la bara di una delle vittime dell’attacco al Reina

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