Migranti in rivolta, bloccati 25 operatori
Veneto: proteste in un centro per la morte di una giovane ivoriana. Si tratta nella notte
Tutto comincia con la morte di Sandrine Bakayoko, giovane donna di 25 anni della Costa d’Avorio, nel centro di migranti di Cona (Venezia). Era arrivata in italia il 30 agosto 2016. Ha avuto un malore in doccia ieri mattina alle 7. I migranti: «Otto ore per far arrivare l’ambulanza». Scatta la rivolta dei profughi, armati di spranghe: 25 operatori sotto assedio sono costretti a barricarsi negli uffici. Trattativa nella notte.
La rivolta è scoppiata ieri pomeriggio e ha trasformato in una polveriera il campo profughi di Cona, l’ex base missilistica del Veneziano che tra molte polemiche ospita mille richiedenti asilo. All’interno, prigionieri fino a notte fonda, 25 operatori. Si tratta ragazzi (ma ci sono anche due medici e un’infermiera), in buona parte italiani, che durante il giorno si occupano della struttura distribuendo i pasti e organizzando le attività
Ex base militare La struttura è rimasta al buio. La trattativa nella notte per mettere fine alla protesta
dei richiedenti asilo. Quando è iniziata la protesta si sono dovuti barricare nei container e negli uffici che costituiscono l’area amministrativa di quella che in pochi mesi è diventata una piccola città dell’accoglienza, gestita da Ecofficina, cooperativa che a furia di vincere appalti per la gestione dei profughi in Veneto è arrivata a fatturare oltre 10 milioni di euro l’anno.
Intorno alle 17, i migranti si sono presi l’intera base, hanno spento le luci e dato fuoco a dei bancali. Roghi organizzati per protestare contro le condizioni in cui si trovano a vivere all’interno della struttura. A scatenare la rabbia, la morte di una di loro: un’ivoriana di 25 anni, Sandrine Bakayoko, arrivata a Cona quattro mesi fa con il fidanzato, dopo un viaggio in gommone che dalla Libia l’ha portata sulle coste della Sicilia. Da lì il trasferimento nel Veneziano.
All’alba di ieri si è sentita male, in bagno, ma il compagno l’ha trovata priva di sensi soltanto intorno a mezzogiorno. «Ho sfondato la porta e l’ho trovata lì, distesa a terra», racconta. «Stava male da giorni, tossiva, aveva la febbre. Questo non è un posto dove ospitare delle donne». I profughi dicono che i soccorsi sono arrivati troppo tardi. Ricostruzione smentita dagli operatori del 118, anche se la procura di Venezia ha aperto un fascicolo e oggi ci sarà l’autopsia per chiarire le cause del decesso.
La morte della ragazza ha innescato la reazione rabbiosa degli altri ospiti della struttura. I migranti hanno occupato l’ex base militare, accendendo i falò. Quando alcuni operatori hanno cercato di mediare sono stati respinti e la tensione è salita ulteriormente dopo che alcuni profughi hanno trovato il modo di accedere ai locali in cui si trova la centralina elettrica. Luci spente, e solo il bagliore dei fuochi a illuminare il centro di accoglienza.
«Per un po’ ha funzionato il sistema elettrico di emergenza — raccontava ieri sera uno degli operatori — ma da qualche ora siamo rimasti al freddo e al buio. Se tentassimo di riavviare l’impianto di illuminazione esterno rischieremmo di essere aggrediti. Ogni tanto qualcuno prende a pugni la porta, siamo terrorizzati. Urlano e alcuni di loro hanno in mano delle spranghe. Ci hanno detto: “Stanotte dormirete qui”. Non abbiamo scelta...».
Le forze dell’ordine hanno avviato una mediazione. «Per ora è più sicuro che restino lì dentro», ha spiegato nella notte uno dei carabinieri intervenuti. «La protesta — ha aggiunto — sta scemando, appena ci saranno le condizioni per farli uscire senza pericoli, li accompagneremo fuori».