Il k.o. in 48 secondi non cancella il mito
La prima campionessa di discipline marziali miste messa ko in 48 secondi L’urlo di Mike Tyson: «Torna a combattere!»
C’è qualcosa che ha fatto prudere le mani alla «Leonessa» più della lunga lista di titoli e record sportivi della sua avversaria. C’è qualcosa in quella «ninja bionda» americana che è riuscita a irritare Amanda Nunes, la prima campionessa brasiliana dei pesi gallo Ufc (Ultimate Fighter Competition), fino a farle desiderare famelicamente di vedere il sangue della rivale sulle proprie mani. Ha raggiunto l’obiettivo in 48 secondi e, dopo i pugni e i calci regolamentari, ha potuto rinfacciarle quel che proprio non può perdonarle: un posto, sebbene in terza fila, nell’olimpo di Hollywood. Le luci della ribalta. «E adesso tornatene a fare film!», le ha sibilato sul volto tumefatto, senza mascherare un risentimento che odora di invidia. Vincere l’incontro di arti marziali miste, umiliare la prima e più famosa delle campionesse femminili di quella categoria, difendere e conservare il titolo mondiale che è appartenuto all’altra per cinque anni, sarebbe potuto bastare. Ma non ad Amanda, quando si è trovata di fronte Ronda Rousey, la sfidante, tornata a combattere dopo un anno sabbatico, qualche particina da afrodisiaca bodyguard in film come «Fast & Furious», un’autobiografia, molte interviste, videoclip, compensi milionari dagli sponsor. Insomma, la consacrazione di un successo che è tracimato dal non immenso circolo dei cultori di arti marziali alle pagine delle riviste più glamour o addirittura del New York Times e di Forbes.
Non era un incontro qualunque, quello di venerdì scorso sull’ottagono di Paradise, a Las Vegas, Nevada. E lo si capiva dal manifesto che annunciava il 207esimo evento del campionato: Ronda Rousey, detta “Rowdy”, la Turbolenta, versus Amanda Nunes, la Leonessa, detentrice del titolo che Ronda aveva perso tredici mesi prima per kappaò, inferto dalla connazionale Holly Holm, a Melbourne. Ma è chiaro che la stella del match era comunque Ronda: una «borsa» garantita di tre milioni di dollari, contro gli «appena» centomila promessi ad Amanda. Sul cartellone, il profilo di Ronda è quello dalle sopracciglia arcuate, le ciglia sottolineate dall’eyeliner, le labbra umettate dal rossetto. Ma è nell’altra metà del poster che saetta lo sguardo duro della vincitrice, senza concessione alcuna alla femminilità o alla seduzione. Nell’immagine, gli occhi rapaci di Amanda fissano un traguardo che la bella Rowdy sembra aver perso di vista: un errore, o una colpa da cui la Leonessa non l’assolverà. Affonderà gli artigli nella pelle satinata della contendente, ridurrà a una livida polpetta quel bel visino di celluloide, riaffermerà la superiorità del sacrificio e della fatica quotidiana in palestra, sulla frivola frequentazione di set cinematografici, salotti televisivi, reality show e tappeti rossi. Perché c’è un solo tappeto in questa storia, ed è meglio evitare di passeggiarci a faccia in giù, mentre l’arbitro inizia a contare.
«È già milionaria, che problemi ha? — infierisce Amanda, togliendosi i guantoni —. Questo sport non fa più per lei. Basta, è finita: perché dovrebbe continuare? Si farebbe soltanto ancora del male». Ronda inghiotte saliva mista a sangue e un senso di ingiustizia profonda: ha spianato lei la strada ad Amanda e alle altre lottatrici,
La furia della nemica La sua avversaria non le perdona le luci della ribalta e quei contratti milionari a Hollywood
entrando per prima nella gabbia, il ring per soli uomini fino a pochi anni fa. Conosce anche lei il valore del sudore, della sofferenza, della disciplina: «Ritornare, non soltanto a combattere, ma a vincere è stato il mio unico obiettivo nell’ultimo anno — assicura la Turbolenta —. Capita però che, anche quando dai tutto e fai di tutto per raggiungere il tuo scopo, le cose non vadano come avevi pianificato. Sono orgogliosa però di come sia andata lontana la divisione femminile dei pesi gallo in Ufc e ringrazio tutte le donne che l’hanno reso possibile, inclusa Amanda».
Dalla sezione maschile e da pugili come Mike Tyson giunge il tifo: «Rialzati Ronda, prendi fiato e torna a combattere!». Lei promette di pensarci su, sua madre, Annmaria De Mars, prima campionessa mondiale statunitense di judo, scommette sulla figlia: da bambina la svegliava saltando sul letto e ordinandole di eseguire la «mossa della sottomissione», proprio perché crescesse indomita. Soprattutto davanti a una Leonessa.