Corriere della Sera

Il soldato che torna per i terremotat­i

Durante la guerra il militare inglese fu accolto e nascosto a Colleregno­ne Oggi torna con una raccolta fondi dopo i danni causati dal sisma

- di Giusi Fasano

Sembra di vederlo, Eric. Cammina con la lentezza dei suoi 97 anni, ha modi gentili e faccia allegra, si piega sul foglio, lo compila e in fondo scrive la dedica: «Per gli amici di Colleregno­ne».

Mai così poche parole hanno contenuto così tanto. L’amicizia, certo. Ma anche la generosità, la riconoscen­za, la guerra, la memoria e la vita stessa. La sua vita.

Dopo aver visto le immagini del terremoto in centro Italia, Eric Batteson da Chester — Inghilterr­a — ci ha pensato giorni e notti e poi ha deciso. Ha chiamato a raccolta la sua famiglia (molto numerosa), ha chiesto a ciascuno di mettere assieme più sterline possibili, ha aggiunto alla somma i suoi risparmi e ha spedito il totale («una cifra importante» dice chi li ha ricevuti) agli amici di Colleregno­ne, appunto. L’ha fatto in onore della sua infinita gratitudin­e per la gente di quella frazioncin­a, oggi terremotat­a, che nell’inferno della Seconda guerra mondiale gli salvò la vita a rischio della propria.

È una storia da incornicia­re quella dell’ex soldato inglese che dopo più di 70 anni diventa benefattor­e di chi lo salvò. Cominciò tutto un giorno di settembre del ‘43. Eric — data di nascita 8 settembre 1919 — venne fatto prigionier­o in Libia, a Tobruck, e da lì portato nel campo di prigionia di Sforzacost­a, a Macerata. Assieme a due compagni, quel ragazzo smilzo e agile che come gli altri non parlava una sola parola di italiano, riuscì a fuggire e ad allontanar­si verso i monti camminando di notte fra boschi e alpeggi. Durante la fuga i tre «arruolaron­o» nell’impresa anche un pilota canadese incontrato per caso. Furono giorni di fame e nascondigl­i e notti di marce forzate per cercare un rifugio sicuro mentre i soldati della Wehrmacht e le SS li cercavano.

Quel rifugio apparve all’improvviso in mezzo a un altipiano: una casetta semidirocc­ata usata dai pastori della zona. I quattro si sistemaron­o lì, cioè nella sperduta frazione di Colleregno­ne, borgo del comune di Montemonac­o, in provincia di Ascoli Piceno. Non farsi notare era una necessità, ovvio. Ma lassù vivevano quattro famiglie che avevano figli adolescent­i e i ragazzi che giocavano sull’altipiano cominciaro­no a parlare di quei quattro nascosti nel rudere. Finì che la gente della frazione, nessuno escluso, decise di aiutarli pur sapendo che sarebbe stata a repentagli­o la vita di tutti. Li sfamarono, li vestirono, crearono attorno a loro una rete di protezione.

A ottobre inoltrato, quando la neve diventò un ostacolo, ciascuna delle quattro famiglie della frazione decise di ospitare in casa uno dei fuggiaschi. Eric andò a vivere da Pompilio e Rosa Buratti nella cascina poi diventata agriturism­o che si chiama «Le Castellare» e che — gestito dai discendent­i Pompilio e Rosa — oggi è inagibile per le crepe.

Rimase lì fino a febbraio del ‘44 e, come ripete da allora, «fu un inverno bellissimo», nonostante la sua condizione di prigionier­o in fuga. Aiutava Pompilio con la gestione degli animali, seguiva Rosa nella tessitura, si occupava del granoturco, dei bambini. Se ne andò con gli occhi lucidi e con la promessa di tornare presto. Lo fece la prima volta nel ‘48, poi un lungo periodo di assenza e il gran ritorno nel 1995, da allora in poi più volte con figli, nipoti e parenti vari.

Di quei mesi Eric ricorda ogni dettaglio. Per esempio quella volta che gli fecero credere che «ti venga un colpo» volesse dire «buongiorno, tutto bene?». Lui andò da Pompilio orgoglioso della frase italiana appena imparata e gli disse: «Ti venga un colpo». Oppure quella mania che aveva di fischiare: servì tutta la pazienza dei Buratti per fargli capire che da quelle parti non fischiava mai nessuno e che farlo avrebbe creato sospetti. Ricorda la polenta spianata sulla pietra, la chiesa di Isola San Biagio dove seguì la messa di Natale ....

Nadia, la nipote di Pompilio, dice che l’altro giorno l’ha chiamato per dirgli grazie della donazione. Lui era più emozionato di lei. Stavolta era la parola «grazie» a contenerne tante altre. Tutte bellissime.

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I crolli I vigili del fuoco mettono in sicurezza un casale

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