«Andrò via da questa città che è sempre più islamica»
La scrittrice Aykol: «Qui ho paura. Potrei trasferirmi in Sicilia»
Se ne andrà. Se non ora, quando potrà: «Vedo che le cose non fanno che peggiorare. Penso che lascerò Istanbul...».
Per sempre?
«È da un po’ che me lo dico. Il giorno sta arrivando. Mi rattrista molto, ma se la situazione rimane questa, sarà inevitabile. Magari non nel futuro immediato. Ma nemmeno troppo in là. Dipende da quando capirò che non sono più in grado di vivere in questa Turchia».
C’è da immaginare che abbia già programmato la via di fuga...
«Ci vorrà qualche anno per sistemare tutto, ma ho già individuato il posto dove andare ad abitare: in Sicilia, a Catania. Il mio editore è siciliano. E conosco un po’ di gente. E poi ci sono stata per i festival letterari, ho incontrato gente del mondo universitario, trovo che ci sia una vita culturale molto vivace e piacevole. Mi ricorda l’ambiente d’Istanbul com’era un tempo, quand’era più moderna».
Non sarà solo per quest’ultima strage...
«Anche. Ma c’entrano molte cose. In Italia, la vita per le donne è più semplice. In Sicilia, ho la sensazione d’essere più libera. Non è facile essere una donna sola a Istanbul. Specie quando cammini per strada. Due mesi fa sono stata molestata: faceva caldo, camminavo alle undici di sera nella strada principale d’Istanbul, e a un certo punto mi sono accorta che ero l’unica donna. Mi sono spaventata. Questa Turchia islamizzata e fondamentalista è una minaccia continua, per chi è donna».
Ce ne vorrà per fare gli scatoloni. La casa di Esmahan Aykol, a due passi da piazza Taksim, è tutta libri e memorie. Divisa fra la Turchia dov’è nata e la Berlino dove ha vissuto, in fondo non s’è mai sentita né di qui, né di là. Come la protagonista di «Hotel Bosforo», il suo giallo più famoso: «Se osserva l’Istanbul degli ultimi dieci anni, vedrà che s’è trasformata in una città molto più mediorientale. Anche i turisti: per strada non sento più parlare lingue europee, solo arabi».
L’Occidente qui ha già perso?
«Istanbul ha perso già da molto tempo la sua faccia europea e laica. L’immagine della città ormai è islamica. Abbiamo mantenuto una vocazione al melting pot, ma nel mondo musulmano. Gli arabi comprano case, aprono negozi. Nelle strade, l’80% dei passanti è maschio. E le poche femmine, per tre quarti, sono velate. Il terrore però non fa distinzioni: più di metà delle vittime erano arabe».
Ci si aspettava questo attacco?
«Sì. A Taksim, in aeroporto, in un night club. O magari in qualche città dell’Anatolia, dove la tradizione delle feste è più forte. Tutti i miei amici sono rimasti a casa e anch’io, qui in centro, a mezzanotte mi sono affacciata alla finestra e non ho visto più d’una decina di persone. Avere paura, era un’ovvietà».
Il terrore cambierà la linea di Erdogan?
«Ci vuole una svolta. Ma non ci credo. Ci sono stati molti attacchi terroristici negli ultimi due anni e niente è cambiato. Le cose vanno peggio ogni giorno. Erdogan sa solo mandare in prigione i giornalisti».
Quant’è grande l’area sociale che simpatizza per lo Stato islamico?
«Molto più di quanto si pensi. Non incontro spesso i religiosi, siamo mondi separati. Pensano sia peccato parlare con me e mi evitano. Qui sono gli abiti a fare la differenza».
Conta anche quel che si scrive?
«È pericoloso. La scorsa settimana hanno arrestato Ahmed Sik, uno dei migliori giornalisti del Paese. I miei libri sono venduti più in Europa che in Turchia, e forse questa è una delle ragioni per cui gl’islamisti non si preoccupano di me. Sono gente primitiva: presidiano il territorio, non importa di come la Turchia sia percepita in Europa o negli Usa».
C’è la sensazione che qualcosa si muova.
«L’opposizione a Erdogan è più forte rispetto all’inizio del 2016. La gente si sta organizzando. Sono più ottimista».
Ma lei se ne va...
«I giorni dell’opposizione sono cominciati solo ora. Sono ottimista per il lungo termine. Anche per l’Islam: prima o poi tornerà alla sua vera natura, alle mitezze del settimo secolo, e abbandonerà questa follia jihadista. Nell’immediato, però no. Il terrorismo colpirà ancora: vedo giorni peggiori di questi».
Istanbul è diventata più mediorientale. Ha perso da tempo la sua faccia europea e laica
Una Turchia fondamentalista è una minaccia continua per le donne