La pista asiatica per il killer della discoteca
L’attentatore avrebbe ricevuto soldi e armi dalla mafia dello Xinjiang, la regione musulmana in Cina
DAL NOSTRO INVIATO
Ci trovi gli operai, gli artigiani, i commercianti. E se vuoi anche le armi, la droga, i passaporti, tutto quel che serve. La pista si chiama Zeytinburnu. Un calderone di working class e profughi siriani, immigrati balcanici e trafficanti cinesi, famiglie uzbeke e mercanti kirghizi. Un sobborgo d’Istanbul da due milioni d’abitanti, anche se la zona che interessa è da duecentomila persone: è lì dentro che stanno cercando il covo. Le menti dell’attacco al Reina Club. La polizia turca ha pochi dubbi: l’«eroico soldato del Califfato», come se ne appropria ora l’Isis, è un uomo che ha ricevuto le armi e i soldi dalla mafia uigura. E probabilmente lì è tornato, la notte dell’attacco, per nascondersi o per trovare un passaggio oltrefrontiera.
Se sia un musulmano dello Xinjiang o un estremista del Kirghizistan, alla fine poco conta: importa sapere chi c’è dietro. «Abbiamo ordinato al nostro consolato d’Istanbul di verificare le voci che stanno uscendo sul coinvolgimento di un nostro cittadino nella strage — dice il ministro degli Esteri kirghizo, Ayımkan Kulukeyeva —. Dalle nostre informazioni è una notizia infondata. Ma i controlli continuano».
I controlli, li hanno già fatti i servizi turchi. Che dopo la confusione delle prime ore, quando non sapevano ancora se dare la colpa ai curdi o all’Isis, hanno imboccato senza esitazione la strada dell’inchiesta sul jihadismo asiatico. E sulla minoranza dei cinesi turcofoni, accolti a braccia aperte da Erdogan nei primi anni Duemila, che oggi si stanno rivelando il vero serbatoio del jihadismo nel Paese.
Gli accordi di Ankara coi governi dell’Asia centrale, soprattutto di cooperazione economica e militare, dai sogni sulla Nuova Via della Seta alle conferenze strategiche, non hanno distolto il Sultano da un obbiettivo mai abbandonato: destabilizzare ove possibile, a partire dai russi (prima dell’alleanza in chiave anti-Isis). Il sostegno ai grandi capi della guerra santa nel Caucaso, i ceceni, è stato uno dei mezzi più utilizzati. E la causa degli uiguri — i musulmani con gli occhi a mandorla che parlano turco e abitano nella regione cinese dello Xinjiang, il Turkestan orientale — è stata a lungo una bandiera del nazionalismo islamista.
La politica dell’accoglienza, allora molto interessata, Gli uiguri, turcofoni con passaporto cinese, sono ormai centomila in Turchia. E sono simpatizzanti dell’estremismo qaedista ora è diventata un boomerang. Gli uiguri impiantati in Turchia, ormai centomila, sono simpatizzanti dell’estremismo. E le inchieste hanno già trovato rapporti diretti coi qaedisti e con lo Stato islamico. Gli attacchi terroristici di questi ultimi mesi hanno dimostrato come, più che le cellule dormienti siriane tra i profughi, si debba tenere d’occhio quelle sveglissime dei centrasiatici. Akhmed Chatayev, luogotenente di Al Baghdadi, ceceno di lunga esperienza, è stato la mente dell’attacco all’aeroporto Atatürk. E asiatici erano pure i jihadisti che si sono fatti saltare su Istiklal Street, per uccidere i turisti. L’ultima conferma viene dal killer del Reina Club: è quasi certo che sia stato addestrato dalla stessa cellula di Chatayev. Ed è sicuro che decine d’altri, come lui, siano pronti a colpire.
Estremismo