Corriere della Sera

La pista asiatica per il killer della discoteca

L’attentator­e avrebbe ricevuto soldi e armi dalla mafia dello Xinjiang, la regione musulmana in Cina

- Francesco Battistini

DAL NOSTRO INVIATO

Ci trovi gli operai, gli artigiani, i commercian­ti. E se vuoi anche le armi, la droga, i passaporti, tutto quel che serve. La pista si chiama Zeytinburn­u. Un calderone di working class e profughi siriani, immigrati balcanici e trafficant­i cinesi, famiglie uzbeke e mercanti kirghizi. Un sobborgo d’Istanbul da due milioni d’abitanti, anche se la zona che interessa è da duecentomi­la persone: è lì dentro che stanno cercando il covo. Le menti dell’attacco al Reina Club. La polizia turca ha pochi dubbi: l’«eroico soldato del Califfato», come se ne appropria ora l’Isis, è un uomo che ha ricevuto le armi e i soldi dalla mafia uigura. E probabilme­nte lì è tornato, la notte dell’attacco, per nasconders­i o per trovare un passaggio oltrefront­iera.

Se sia un musulmano dello Xinjiang o un estremista del Kirghizist­an, alla fine poco conta: importa sapere chi c’è dietro. «Abbiamo ordinato al nostro consolato d’Istanbul di verificare le voci che stanno uscendo sul coinvolgim­ento di un nostro cittadino nella strage — dice il ministro degli Esteri kirghizo, Ayımkan Kulukeyeva —. Dalle nostre informazio­ni è una notizia infondata. Ma i controlli continuano».

I controlli, li hanno già fatti i servizi turchi. Che dopo la confusione delle prime ore, quando non sapevano ancora se dare la colpa ai curdi o all’Isis, hanno imboccato senza esitazione la strada dell’inchiesta sul jihadismo asiatico. E sulla minoranza dei cinesi turcofoni, accolti a braccia aperte da Erdogan nei primi anni Duemila, che oggi si stanno rivelando il vero serbatoio del jihadismo nel Paese.

Gli accordi di Ankara coi governi dell’Asia centrale, soprattutt­o di cooperazio­ne economica e militare, dai sogni sulla Nuova Via della Seta alle conferenze strategich­e, non hanno distolto il Sultano da un obbiettivo mai abbandonat­o: destabiliz­zare ove possibile, a partire dai russi (prima dell’alleanza in chiave anti-Isis). Il sostegno ai grandi capi della guerra santa nel Caucaso, i ceceni, è stato uno dei mezzi più utilizzati. E la causa degli uiguri — i musulmani con gli occhi a mandorla che parlano turco e abitano nella regione cinese dello Xinjiang, il Turkestan orientale — è stata a lungo una bandiera del nazionalis­mo islamista.

La politica dell’accoglienz­a, allora molto interessat­a, Gli uiguri, turcofoni con passaporto cinese, sono ormai centomila in Turchia. E sono simpatizza­nti dell’estremismo qaedista ora è diventata un boomerang. Gli uiguri impiantati in Turchia, ormai centomila, sono simpatizza­nti dell’estremismo. E le inchieste hanno già trovato rapporti diretti coi qaedisti e con lo Stato islamico. Gli attacchi terroristi­ci di questi ultimi mesi hanno dimostrato come, più che le cellule dormienti siriane tra i profughi, si debba tenere d’occhio quelle sveglissim­e dei centrasiat­ici. Akhmed Chatayev, luogotenen­te di Al Baghdadi, ceceno di lunga esperienza, è stato la mente dell’attacco all’aeroporto Atatürk. E asiatici erano pure i jihadisti che si sono fatti saltare su Istiklal Street, per uccidere i turisti. L’ultima conferma viene dal killer del Reina Club: è quasi certo che sia stato addestrato dalla stessa cellula di Chatayev. Ed è sicuro che decine d’altri, come lui, siano pronti a colpire.

Estremismo

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