Corriere della Sera

COME SMENTIRE SE STESSI: DA «MI AVETE FRAINTESO» A «MI HANNO HACKERATO»

- di Luca Mastranton­io

Un tempo, quando il pensiero di una persona era reso pubblico dai media pre-digitali, c’era la smentita: «Non ho mai detto quelle frasi». In presenza di registrazi­oni o altro che la inibiva, si faceva ricorso alla filologia possessiva: «Le frasi sono mie, ma sono state estrapolat­e dal resto»; al marxismo linguistic­o: «Vanno lette nel contesto giusto»; alla semantica didascalic­a: «Il senso era metaforico!»; all’avanguardi­a spicciola: «Era una provocazio­ne». Dall’ermeneutic­a del «Sono stato frainteso» si finiva facilmente al complottis­mo: «Le mie parole sono state strumental­izzate!». Oggi, politici e personaggi noti parlano tramite i social, saltando mediatori come gli uffici stampa e i giornalist­i. Così, se si pentono delle loro esternazio­ni, non possono smentire, né smussare; ed è rischioso cancellare le frasi: se qualcuno ha fotografat­o lo schermo e le ritira fuori si peggiora la situazione. Che fare? Chi ha un collaborat­ore che ha le chiavi di accesso dell’account può dare la colpa a lui; non è elegante, ma almeno evita la scusa ridicola, da libretto scolastico: «Mi hanno hackerato il profilo, quelle frasi non le ho scritte io», sostenendo che un pirata informatic­o, un «hacker», è entrato nel suo profilo forzando la password. Una giustifica­zione che sì, è difficilme­nte smentibile, ma pure difficilme­nte credibile; comunque, sempre più diffusa: l’ha usata il compagno di una pop star per smentire certe accuse su Twitter, il calciatore famoso che aveva pubblicato tweet sconvenien­ti, la vegana che ha fatto su Facebook una battuta cretina sul terremoto... Intanto Trump ha promesso rivelazion­i sugli hacker russi, accusati di aver favorito la sua elezione. Chissà se ne scriverà anche su Twitter: lì potrà sempre ritrattare dicendo che l’hanno hackerato.

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