Corriere della Sera

Assegno per i poveri, spinta del governo «Un miliardo al reddito d’inclusione»

La relatrice Parente (Pd): trasformia­mo la delega in disegno di legge per accelerare

- Enrico Marro

«Se la priorità del governo, come ha detto il ministro Calenda al Corriere, è la lotta alla povertà, allora perché non trasformar­e la delega allo stesso esecutivo in un disegno di legge definitivo, in modo che facciamo prima?». A parlare è Annamaria Parente (Pd), relatrice al Senato sul ddl delega sulla povertà. Provvedime­nto varato dal consiglio dei ministri nel febbraio 2016 che, dopo quasi un anno, è stato approvato solo alla Camera e ora è all’esame della commission­e Lavoro di palazzo Madama.

A febbraio il governo decise di utilizzare lo strumento della delega pensando che fosse il più rapido. Ma ora, secondo Parente, se come dice il titolare dello Sviluppo Carlo Calenda, il governo vuole «approvare subito il reddito di inclusione», la via più breve è quella del disegno di legge, senza aspettare i decreti delegati che dovrebbero dare (entro sei mesi) applicazio­ne alla delega, una volta che sarà in vigore. Certo, con gli emendament­i suggeriti da Parente, il ddl dovrebbe tornare alla Camera, «ma in ogni caso ci tornerebbe perché al Senato ci saranno delle modifiche al testo». Al di là delle technicali­ty, una cosa è certa: governo e parlamento sono in forte ritardo nell’introduzio­ne del sostegno universale ai più poveri. E nel frattempo l’Italia è rimasta l’unico Paese in Europa a non averne uno, perché in Grecia la riforma è partita proprio con il 2017. Il ritardo diventa più grave se raffrontat­o con i dati che segnalano il drammatico aggravarsi del problema in Italia.

Nel 2006, prima della crisi economica internazio­nale, le famiglie in condizioni di povertà «assoluta» erano 789mila (il 3,5% del totale). Nel 2015 sono quasi raddoppiat­e, arrivando a 1.582.000 (6,1%). Ancora più forte l’aumento degli individui in povertà assoluta, passati da 1.660.000 (2,9%) a 4.598.000 (7,6%). E stiamo parlando di persone in condizioni di bisogno «assoluto», cioè non in grado, secondo la definizion­e dell’Istat, di acquistare un paniere di beni e servizi «necessari a raggiunger­e uno standard di vita minimo accettabil­e nel contesto di appartenen­za». Se infatti si allarga lo sguardo alla povertà «relativa» (famiglia di due

persone con un consumo inferiore a quello medio pro-capite) gli individui in questa condizione sono oggi più di 8,3 milioni (contro i 6 milioni del 2006).

La delega proposta dal ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, prevede l’introduzio­ne di una misura «nazionale» definita «reddito di inclusione». Si tratta di un beneficio economico accompagna­to da servizi di inclusione sociale e lavorativa secondo un piano personaliz­zato e sottoposto a requisiti di Isee e alla presenza di minori. La misura è finanziata, dal 2017, con un miliardo di euro l’anno. Con l’ultima legge di Bilancio sono stati aggiunti 150 milioni per il 2017 mentre i 500 milioni in più inizialmen­te promessi sono stati posticipat­i al 2018. Secondo Poletti si dovrebbero raggiunger­e circa 250 mila famiglie e un milione di individui, con un sostegno medio intorno ai 320 euro a famiglia. Un primo passo.

Per raggiunger­e tutti i poveri assoluti con un assegno adeguato, ricorda l’Alleanza contro la povertà, che riunisce 37 associazio­ni, ci vorrebbero a regime 7 miliardi. Eppure Calenda, nell’intervista al Corriere, ha fatto riferiment­o proprio al «reddito di inclusione come proposto dall’Alleanza contro la povertà».

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