L’Eni e la short list degli stranieri per il petrolio in Iran
(fr.bas.) Il ministero del Petrolio iraniano ha pubblicato la lista delle 29 compagnie straniere autorizzate a presentare offerte per progetti nel settore oil&gas attraverso i nuovi Iranian petroleum contracts: c’è anche l’Eni. L’amministratore delegato Claudio Descalzi (nella foto) non ha però mai fatto mistero di non essere particolarmente ansioso di partecipare a nuove gare per l’esplorazione e la produzione di petrolio e gas in Iran, un Paese che l’Eni conosce bene perché la sua presenza risale al 1957. Il Cane a sei zampe sta ancora recuperando i vecchi crediti che ha con Teheran, attraverso il ritiro di greggio senza alcun corrispettivo alla National iranian oil company (Nioc). C’è anche il problema della definizione delle formule contrattuali applicate all’industria petrolifera internazionale, su cui Teheran è al lavoro da anni ma la cui presentazione è stata ancora rinviata (in ottobre è stato firmato il primo accordo con le nuove regole con una compagnia petrolifera locale ma mancano i dettagli). L’Iran resta però il quarto Paese al mondo per riserve di greggio e il secondo per riserve di gas naturale. E ora che sono finite le sanzioni il governo di Teheran ha l’intenzione di tornare agli splendori pre-embargo. Far parte della lista delle compagnie ammesse a lavorare nel Paese è importante in una prospettiva futura. L’elenco pubblicato sul sito del ministero, oltre al gruppo italiano, comprende i più importanti nomi dell’energia mondiale, tra cui Total, Shell, Gazprom, Lukoil, ma anche aziende meno note di Paesi emergenti come la thailandese Ptt Exploration o la polacca Pgnig. Non ci sono invece le major americane che scontano la decisione del Congresso Usa di estendere per altri dieci anni le sanzioni nei confronti di Teheran, nonostante l’accordo sul nucleare voluto dall’amministrazione Obama.
Italianway, l’albergo diffuso di Milano punta a 400 «camere»
(f.ch.) L’obiettivo è quello di diventare il più grande albergo diffuso della città di Milano. Con un piccolo particolare: la camere dell’albergo sono gli appartamenti che i diversi proprietari affittano per brevi periodi (in pratica come se fossero un Airbnb) utilizzando la loro piattaforma e sfruttando la gestione professionale offerta. Italianway, la start up nata dall’idea di due architetti milanesi, ha fatto il salto. A due anni dall’apertura, la società chiuderà il 2016 con un giro d’affari di 3,5 milioni di euro e 250 appartamenti in gestione continuando il piano di crescita, per linee interne ed esterne, che prevede la gestione di 400 appartamenti sulla piazza di Milano e un giro d’affari di 7 milioni di euro entro il 2017. Con 40 dipendenti assunti a tempo indeterminato, tutti ragazzi giovani, e un indotto di ulteriori 80 (imprese di pulizie e manutenzioni), Italianway, hanno dichiarato i soci fondatori Davide Scarantino e Gianluca Bulgheroni, «sta dimostrando di essere un modello di business che non solo funziona ma permette una crescita esponenziale», che dalla sharing economy crea economia reale. Italianway finora è riuscita ad autofinanziarsi continuando a reinvestire gli utili in innovazione e capitale umano. Ma nel prossimo biennio valuterà se aprire il capitale a partner finanziari esterni.