L’irripetibile sapienza della storia
Oggi in edicola con il quotidiano il secondo volume della serie sugli eventi che hanno segnato la nostra civiltà. Il grande valore di una disciplina che non pretende di essere una scienza esatta perché indaga sui caratteri specifici delle singole vicende
Èdavvero importante conoscere il passato? Dal «Corriere della Sera» viene una risposta nettamente positiva, con la collana La Storia. Italia Europa Mediterraneo, della quale esce oggi in edicola con il quotidiano il secondo volume. Chi vuole approfondire il retroterra e gli sviluppi nel tempo della nostra civiltà può trovare in quei 30 libri una ricostruzione ampia e di solido spessore scientifico.
Non c’è dubbio però che gli studi storici stanno attraversando un momento difficile. Non solo per i tagli di spesa che colpiscono una ricerca priva di applicazioni con un ritorno economico consistente. Non solo per il rinnovato vigore di nazionalismi e integralismi religiosi, che non sopportano la complessità dei fatti come emerge dall’indagine sulle fonti e vorrebbero sostituirvi narrazioni lineari e coerenti, orientate in senso ideologico. Non solo per l’impossibilità di valutare il lavoro degli storici attraverso criteri prevalentemente quantitativi.
C’è un problema di fondo evidenziato da Fulvio Cammarano, presidente della Società italiana per lo studio della storia
contemporanea (Sissco) in un’intervista rilasciata mesi fa a «la Lettura», supplemento culturale del «Corriere». Oggi, in un clima di generale incertezza, tanto i governanti quanto l’opinione pubblica sono alla ricerca di risposte, che la storiografia non può dare, perché oggetto della sua indagine è proprio l’irripetibile specificità degli eventi, dalla quale è arduo trarre indicazioni applicabili anche in differenti circostanze. Significativamente si parlò di «fine della storia», quando parve che le vicende umane avessero imboccato una direzione irreversibile. E la smentita di quella prognosi non sembra aver attenuato, anzi forse ha rafforzato, la domanda di soluzioni basate su criteri almeno in apparenza «scientifici», magari di natura matematica.
È come se si andasse alla ricerca dell’algoritmo che possa permetterci di uscire dalla crisi. Ed è logico che per ottenerlo non ci si rivolga in prima battuta agli storici, che tendono a problematizzare ogni vicenda, ma agli esperti di scienze sociali, cui si chiede di indicare le leggi che muovono il mondo. Non a caso, osservava Cammarano nell’intervista a «la Lettura», molto spesso gli storici vengono presentati come «politologi» quando si dà loro la parola in televisione. Il richiamo alla scienza politica (appunto, una «scienza») sembra conferire loro più autorevolezza e affidabilità.
Va aggiunto che la crisi della storiografia, certamente profonda nel nostro Paese, è tuttavia un fenomeno mondiale, tant’è vero che sono stati di recente pubblicati in Italia due importanti saggi stranieri sull’argomento. Sono libri di diversa provenienza e impostazione, ma hanno in comune il richiamo all’importanza del sapere storico.
Abbiamo ancora bisogno della storia? è il titolo di un volume edito da Raffaello Cortina, a cura di Maria Matilde Benzoni. Ne è autore il francese Serge Gruzinski, vincitore nel 2015 dell’International Prize for History: uno specialista dell’America ispanofona che però si è misurato con tutto il complesso dei rapporti determinati dai viaggi oceanici e dagli insediamenti coloniali europei nel mondo. La sua tesi è che non abbia più senso studiare il passato in una prospettiva correlata agli Stati nazionali (una storia d’Italia, una storia di Francia e così via), tanto più che l’immigrazione sta rendendo multiculturali le nostre società. Bisogna invece accettare la sfida di una globalizzazione le cui radici storiche sono molto antiche.
Per farlo inoltre, sottolinea Gruzinski, non si può ignorare che oggi i più potenti veicoli di divulgazione della storia sono i mezzi di comunicazione audiovisivi, attraverso i quali passano spesso messaggi indebitamente spettacolarizzati e persino volutamente distorti. Non si può ignorare il fenomeno catalogandolo nell’ambito del puro e semplice intrattenimento: sia perché può avere effetti tossici sul grande pubblico; sia perché i mass media, se usati in modo serio e consapevole, offrono opportunità preziose di diffondere il sapere storico. L’errore più grave, avverte Gruzinski, è l’arroccamento della storiografia «in un accademismo convenzionale che sempre più le fa perdere credibilità».
Diversa, ma non priva di rapporti con il discorso dello studioso francese, è l’impostazione degli storici David Armitage (britannico, ma docente ad Harvard, Usa) e Jo Guldi (americana) autori del Manifesto per la storia pubblicato a metà dicembre da Donzelli con un’introduzione di Renato Camurri. Il libro è un forte allarme per gli inconvenienti della prospettiva di breve termine che domina la vita pubblica, appiattita sul perseguimento di scopi immediati che a volte si traducono in micidiali boomerang. Un esempio calzante, ma successivo all’uscita del libro di Armitage e Guldi in edizione originale (2014), è quello dell’ex primo ministro britannico David Cameron, che nel 2015 aveva ottenuto un brillante successo elettorale promettendo il referendum sulla permanenza di Londra nell’Unione Europea, ma poi si è dovuto dimettere, lasciando il Paese in una situazione assai complicata, dopo che i cittadini si sono pronunciati per la Brexit, in senso opposto ai suoi auspici.
Armitage e Guldi si levano dunque in difesa della «peculiare capacità» che ha la storiografia accademica «di promuovere indagini disinteressate a lungo termine», nella convinzione che proprio quel genere di attività sia necessaria allo scopo di costruire il necessario ponte tra passato e futuro «per pensare in modo critico a quello che verrà». Forse non tutto appare convincente in questa proposta: per capirne meglio i diversi aspetti abbiamo promosso un confronto tra Cammarano e Armitage pubblicato sul numero de «la Lettura» attualmente in edicola. Ma è certo che la presunzione di fare a meno della conoscenza storica può produrre soltanto un impoverimento culturale. Ed è assolutamente doveroso fare tutto il possibile per evitarlo.
Il dibattito Escono libri e interventi in Italia e all’estero sulla funzione cruciale della ricerca storica