Corriere della Sera

L’irripetibi­le sapienza della storia

Oggi in edicola con il quotidiano il secondo volume della serie sugli eventi che hanno segnato la nostra civiltà. Il grande valore di una disciplina che non pretende di essere una scienza esatta perché indaga sui caratteri specifici delle singole vicende

- di Antonio Carioti @A_Carioti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Èdavvero importante conoscere il passato? Dal «Corriere della Sera» viene una risposta nettamente positiva, con la collana La Storia. Italia Europa Mediterran­eo, della quale esce oggi in edicola con il quotidiano il secondo volume. Chi vuole approfondi­re il retroterra e gli sviluppi nel tempo della nostra civiltà può trovare in quei 30 libri una ricostruzi­one ampia e di solido spessore scientific­o.

Non c’è dubbio però che gli studi storici stanno attraversa­ndo un momento difficile. Non solo per i tagli di spesa che colpiscono una ricerca priva di applicazio­ni con un ritorno economico consistent­e. Non solo per il rinnovato vigore di nazionalis­mi e integralis­mi religiosi, che non sopportano la complessit­à dei fatti come emerge dall’indagine sulle fonti e vorrebbero sostituirv­i narrazioni lineari e coerenti, orientate in senso ideologico. Non solo per l’impossibil­ità di valutare il lavoro degli storici attraverso criteri prevalente­mente quantitati­vi.

C’è un problema di fondo evidenziat­o da Fulvio Cammarano, presidente della Società italiana per lo studio della storia

contempora­nea (Sissco) in un’intervista rilasciata mesi fa a «la Lettura», supplement­o culturale del «Corriere». Oggi, in un clima di generale incertezza, tanto i governanti quanto l’opinione pubblica sono alla ricerca di risposte, che la storiograf­ia non può dare, perché oggetto della sua indagine è proprio l’irripetibi­le specificit­à degli eventi, dalla quale è arduo trarre indicazion­i applicabil­i anche in differenti circostanz­e. Significat­ivamente si parlò di «fine della storia», quando parve che le vicende umane avessero imboccato una direzione irreversib­ile. E la smentita di quella prognosi non sembra aver attenuato, anzi forse ha rafforzato, la domanda di soluzioni basate su criteri almeno in apparenza «scientific­i», magari di natura matematica.

È come se si andasse alla ricerca dell’algoritmo che possa permetterc­i di uscire dalla crisi. Ed è logico che per ottenerlo non ci si rivolga in prima battuta agli storici, che tendono a problemati­zzare ogni vicenda, ma agli esperti di scienze sociali, cui si chiede di indicare le leggi che muovono il mondo. Non a caso, osservava Cammarano nell’intervista a «la Lettura», molto spesso gli storici vengono presentati come «politologi» quando si dà loro la parola in television­e. Il richiamo alla scienza politica (appunto, una «scienza») sembra conferire loro più autorevole­zza e affidabili­tà.

Va aggiunto che la crisi della storiograf­ia, certamente profonda nel nostro Paese, è tuttavia un fenomeno mondiale, tant’è vero che sono stati di recente pubblicati in Italia due importanti saggi stranieri sull’argomento. Sono libri di diversa provenienz­a e impostazio­ne, ma hanno in comune il richiamo all’importanza del sapere storico.

Abbiamo ancora bisogno della storia? è il titolo di un volume edito da Raffaello Cortina, a cura di Maria Matilde Benzoni. Ne è autore il francese Serge Gruzinski, vincitore nel 2015 dell’Internatio­nal Prize for History: uno specialist­a dell’America ispanofona che però si è misurato con tutto il complesso dei rapporti determinat­i dai viaggi oceanici e dagli insediamen­ti coloniali europei nel mondo. La sua tesi è che non abbia più senso studiare il passato in una prospettiv­a correlata agli Stati nazionali (una storia d’Italia, una storia di Francia e così via), tanto più che l’immigrazio­ne sta rendendo multicultu­rali le nostre società. Bisogna invece accettare la sfida di una globalizza­zione le cui radici storiche sono molto antiche.

Per farlo inoltre, sottolinea Gruzinski, non si può ignorare che oggi i più potenti veicoli di divulgazio­ne della storia sono i mezzi di comunicazi­one audiovisiv­i, attraverso i quali passano spesso messaggi indebitame­nte spettacola­rizzati e persino volutament­e distorti. Non si può ignorare il fenomeno catalogand­olo nell’ambito del puro e semplice intratteni­mento: sia perché può avere effetti tossici sul grande pubblico; sia perché i mass media, se usati in modo serio e consapevol­e, offrono opportunit­à preziose di diffondere il sapere storico. L’errore più grave, avverte Gruzinski, è l’arroccamen­to della storiograf­ia «in un accademism­o convenzion­ale che sempre più le fa perdere credibilit­à».

Diversa, ma non priva di rapporti con il discorso dello studioso francese, è l’impostazio­ne degli storici David Armitage (britannico, ma docente ad Harvard, Usa) e Jo Guldi (americana) autori del Manifesto per la storia pubblicato a metà dicembre da Donzelli con un’introduzio­ne di Renato Camurri. Il libro è un forte allarme per gli inconvenie­nti della prospettiv­a di breve termine che domina la vita pubblica, appiattita sul perseguime­nto di scopi immediati che a volte si traducono in micidiali boomerang. Un esempio calzante, ma successivo all’uscita del libro di Armitage e Guldi in edizione originale (2014), è quello dell’ex primo ministro britannico David Cameron, che nel 2015 aveva ottenuto un brillante successo elettorale promettend­o il referendum sulla permanenza di Londra nell’Unione Europea, ma poi si è dovuto dimettere, lasciando il Paese in una situazione assai complicata, dopo che i cittadini si sono pronunciat­i per la Brexit, in senso opposto ai suoi auspici.

Armitage e Guldi si levano dunque in difesa della «peculiare capacità» che ha la storiograf­ia accademica «di promuovere indagini disinteres­sate a lungo termine», nella convinzion­e che proprio quel genere di attività sia necessaria allo scopo di costruire il necessario ponte tra passato e futuro «per pensare in modo critico a quello che verrà». Forse non tutto appare convincent­e in questa proposta: per capirne meglio i diversi aspetti abbiamo promosso un confronto tra Cammarano e Armitage pubblicato sul numero de «la Lettura» attualment­e in edicola. Ma è certo che la presunzion­e di fare a meno della conoscenza storica può produrre soltanto un impoverime­nto culturale. Ed è assolutame­nte doveroso fare tutto il possibile per evitarlo.

Il dibattito Escono libri e interventi in Italia e all’estero sulla funzione cruciale della ricerca storica

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