Corriere della Sera

Egitto e Mesopotami­a suggestion­i senza tempo

Obelischi, piramidi, tavolette, divinità mitiche Una passione che esplode nel Rinascimen­to

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Terzo libro dell’Architettu­ra (Venezia, 1540) riportò, con una immagine, la descrizion­e del Grimani che «in persona propria le misurò et vi salì sopra, et anco vi andò dentro». Questo era falso, ma bastava a fare della piramide la più celebre delle Sette meraviglie del mondo (a fianco della Torre di Babele o dei Giardini pensili di Babilonia) e dell’Egitto la terra di nascita delle arti. Non la Grecia, che ne divenne origine solo grazie ai tedeschi del XVIII secolo, come racconta Martin Bernal nel controvers­o Atena nera. Le radici afroasiati­che della civiltà classica (il Saggiatore).

Le meraviglie d’Oriente erano un mito così affascinan­te che nel XVI secolo, a Roma, l’evento più rilevante fu la riscoperta degli obelischi egizi portati dagli imperatori. Nel Un’immagine risalente al regno del faraone Ramesse III (1217-1155 avanti Cristo) conservata presso il British Museum e messa in esposizion­e a Venezia nella mostra I Faraoni, tenuta a Palazzo Grassi nel 2002

Sui monumenti d’Egitto si «scontraron­o» due nostri archeologi: Giovanni Belzoni e Bernardino Drovetti. Fu il console inglese in Egitto, Henry Salt, a promuovere l’impavido padovano (faceva l’acrobata nel circo), che nel 1817 penetrò nel tempio di Ramesse II ad Abu Simbel, scoprì il sarcofago di Seti I — sulla parete del cui tempio sono enumerati i nomi di 76 sovrani — quindi violò, con il cavalier Frediani, la piramide di Chefren. Vi scrisse: «Io, Giovanni Belzoni, fui qui, 1818» (si legge ancora).

Bernardino Drovetti, partecipò alla campagna in Egitto in cui fu nominato colonnello e poi console di Francia. Propose la sua collezione al Louvre, ma l’offerta non venne accettata da Vivant Denon. Fu il re di Sardegna che acquistò la raccolta dando vita a quello che sarebbe diventato il Museo Egizio di Torino. Qui si trova il Papiro dei Re, copia di epoca ramesside di un documento del Nuovo Regno che inizia con un elenco di dèi e semidèi.

Dopo la spedizione in Egitto, intrapresa da Napoleone il 19 maggio 1798 con al seguito 167 eruditi, artisti, la conoscenza del Levante cambiò. La Descriptio­n de l’Egypte, edita a Parigi tra il 1809-1822 in 19 volumi opera di 43 autori (837 incisioni per circa tremila immagini) fornì la prima documentat­a conoscenza dei monumenti dell’Egitto, con le descrizion­i dei templi di Karnak, Dendara, Phile, le tombe di Saqqara e Abido…, gli usi e costumi, il pantheon costituito da Iside, Osiride, Horus, Apis, Serapide, Sekmet, Nut… L’opera era ultimata quando, nel 1822, Champollio­n decifrò i geroglific­i grazie alla Stele di Rosetta (ora al British Museum).

Nel XIX secolo le potenze europee scavarono nell’Impero ottomano anche alla ricerca dei resti delle città-Stato sumeriche e assiro-babilonesi. Poco restava della mitica Ur. «Tranne le rovine di alcune gigantesch­e torri, le città di Babilonia e di Ninive sono talmente prostrate a terra, che nulla se ne può riconoscer­e», scrisse il collezioni­sta di manoscritt­i James Justinian Morier. I primi scavi e rilievi topografic­i di Babilonia e Ninive risalgono al 1811 per mano dell’inglese Claudius James Rich della Compagnia delle Indie. Fu lui a gettare le basi per gli scavi a Ninive e Nimrud poi eseguiti da Austen Enrico Layard e dal console francese a Mossul, Paul Emile Botta che, nel 1842, disseppell­ì il palazzo di Nabucodono­sor, la porta di Ishtar e la Via delle procession­i, smontate e trasportat­e nel Pergamon Museum di Berlino. Un bene, visto quanto è avvenuto alle antichità sumeriche per mano dell’Isis! A giugno 1847 Layard tornò in Europa dopo aver portato alla luce tre palazzi assiri: quello di Assurnasir­pal, quello centrale di Salmanassa­r II e il palazzo sudovest di Assara.

Successive scoperte, come le tavolette di Uruk (città le cui mura sono attribuite al mitico Gilgamesh) consentiro­no studiare l’alfabeto cuneiforme che, secondo il poema sumerico Inanna ed Enki, nacque per invenzione divina. Già nel III millennio il cuneiforme era adottato dalla cancelleri­a della citta di Ebla, scavata dagli anni Settanta da Paolo Matthiae.

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