Grillo attacca stampa e tv Un caso la «giuria popolare»
Provocazione del leader, Mentana lo querela. Indagati, sì sul blog al codice: votano solo 41 mila
Beppe Grillo invoca la «giuria popolare» contro stampa e tv: è polemica. Marra dal carcere: via gli omissis alla chat con Raggi.
Una crociata e una bufera. Beppe Grillo torna all’attacco dei media, proponendo «una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate». Il blog, che già nei giorni scorsi aveva lamentato un attacco alla libertà della Rete per il dibattito su verità e postverità, tuona: «I giornali e i tg sono i primi fabbricatori di notizie false nel Paese con lo scopo di far mantenere il potere a chi lo detiene. Sono le loro notizie che devono essere controllate».
Le parole del garante pentastellato provocano un coro di critiche, che coinvolge sia il mondo dell’informazione sia quello della politica. La Federazione nazionale della stampa parla di «linciaggio mediatico di stampo qualunquista contro tutti i giornalisti». Per l’Ordine dei giornalisti è «una proposta grave e sconcertante». Enrico Mentana, direttore del Tg di La7, annuncia una querela per diffamazione nei confronti del leader Cinque Stelle. «In attesa della giuria popolare chiedo a Grillo di trovarsi intanto un avvocato», dice. E nell’edizione serale del telegiornale motiva la sua scelta: «Le accuse di Beppe Grillo ci toccano direttamente perché c’è anche il logo del Tg di La7» tra quelli riportati dall’immagine pubblicata sul blog in corrispondenza del post. «Io non credo che in Italia si faccia un buon servizio all’informazione, querelando per una mancanza di distinzione», replica il deputato M5S Alfonso Bonafede.
Molte le critiche anche da parte del mondo della politica. «Grotteschi tribunali del popolo», commenta Fabrizio Cicchitto (Ncd). «Grillo ormai ha smarrito anche il senso del ridicolo», dice Daniela Santanché (FI). Per la dem Alessia Morani «Grillo parla di censura. Dovrebbe solo provare vergogna». «Prima, con la scusa della lotta alle bufale in Rete, provano a imbavagliare internet, ormai unico vero squarcio d’informazione indipendente in un sistema mediatico fondato sulla partitocrazia, e poi accusano il M5S di oscurantismo», controbattono i capigruppo del Movimento, Vincenzo Caso e Michela Montevecchi. «Ormai sono ridicoli», commenta parlando dei giornalisti Alessandro Di Battista su Facebook. Il post di Grillo in realtà trova una certa freddezza da parte dei parlamentari. Il leader si muove in una crociata contro i media tradizionali che aveva temporaneamente abbandonato all’epoca del «passo di lato»: ora torna al centro della lotta contro «il sistema». Intanto, ieri è stata giornata di votazione per i militanti pentastellati: dopo nove ore è stata approvata la svolta garantista (che Luigi Di Maio bolla come un tentativo della stampa di «farci sembrare uguali agli altri partiti»). Da oggi — tra le norme approvate — eventuali indagati Cinque Stelle non avranno l’obbligo di dimettersi: «Il Codice di comportamento M5S è stato ratificato con il voto favorevole del 91% dei partecipanti» (ossia 37.360 sì su 40.954 votanti, un terzo totale degli iscritti). Ironico il commento della Camera Penale di Roma: «Il Movimento 5 Stelle folgorato sulla via di Piazzale Clodio (la sede della procura e del tribunale penale di Roma, ndr): benvenuti tra noi garantisti!».