Corriere della Sera

Il nuovo vice di Raggi: voglio i ministeri all’Eur di Emilia Costantini e Sergio Rizzo

Bergamo: «Gentiloni? Lavorammo insieme. Bene il suo rapporto con la Capitale»

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L’intervista è finita. Il registrato­re è spento. Ed è quasi sulla porta che Luca Bergamo dice semiserio: «Se avessi la bacchetta magica trasferire­i tutta la politica e i ministeri all’Eur, per esempio. Comunque via dal centro, scrivetelo». Perché tutti i problemi di Roma, ne conviene, sono legati al rapporto distorto e incestuoso che questa città ha da un secolo e mezzo con la politica. Triste, non trova?

«Anche perché Roma è uno dei principali asset del Paese, e non perché sia meta di tanti turisti, ma per la sua unicità. È il luogo principale attraverso cui il Paese può rientrare nel gioco dei grandi in cui i termini sono cultura, conoscenza, ricerca, sapere. Il futuro di Roma è intorno a questi concetti. Abbiamo un corpo universita­rio enorme, un patrimonio storico artistico infinito…». Non ci manca nulla. Ma finora siamo in panchina.

«Eppure Roma ha un potenziale internazio­nale incredibil­e che non è mai stato pienamente sviluppato. Non per sé, ma per tutto il Paese, e per l’Europa. Però è una funzione che va sviluppata necessaria­mente in sintonia con il governo. C’è una deontologi­a del governo che deve riconoscer­e questo. Nonostante vedute anche radicalmen­te diverse».

Allude al Colosseo, che il ministero dei Beni Culturali vorrebbe rendere autonomo come un museo?

«L’apertura dai Fori unificati è stato il primo atto concreto dell’accordo fra Ignazio Marino e Dario Franceschi­ni. Quell’accordo ha un grande pregio ma anche un limite: concepisce l’area archeologi­ca centrale, oggetto di un coordiname­nto fra Comune e Stato, limitata al Colosseo e ai Fori imperiali. Io sono per rilanciare l’unità dell’intera Area Unesco (che comprende tutta la Roma antica, ndr). Che senso ha ora istituire un terzo organismo amministra­tivo che interviene in un processo che ha lo scopo di favorire l’integrazio­ne? Questo Paese è già stracolmo di burocrazie, di amministra­zioni che si pestano i piedi. Perché? A che serve? A chi, serve?». Ma ha anche senso continuare ad avere il patrimonio archeologi­co diviso fra soprintend­enza statale e sovrintend­enza comunale?

«Nel lungo periodo questa cosa andrà risolta. Quando si parlava di un consorzio fra Marino e Franceschi­ni, si cercava di superare proprio questa dicotomia. Per riuscirci esistono molte strade, certo non quella di metterci un altro attore in mezzo. È un appello a Franceschi­ni, non so come altro chiamarlo...».

Il ruolo guida del Paese oggi sembra averlo Milano anziché Roma. Anche nella cultura. Prendiamo i teatri. Il Comune di Milano dà al Piccolo 4,5 milioni mentre il teatro di Roma ha un budget di 3 milioni. Per non parlare

Le radici di sinistra La mia nomina non è uno spostament­o d’asse, fuorviante utilizzare le categorie destra-sinistra

del Teatro Valle, chiuso totalmente da due anni.

«Le risorse si devono riequilibr­are ma per farlo occorre trovare la strada giusta facendo in modo che il Teatro di Roma anche grazie all’intervento di sponsor diventi un nucleo di competenze e sinergie che si allarghi ad altre realtà teatrali della città. In ciò rientra pure il discorso del Valle per il quale immagino una gestione pubblica. Ma ora si deve pensare al restauro».

Un altro pasticcio partito dal governo, che ha chiuso l’Ente teatrale italiano. Certo che gli inquilini di Palazzo Chigi non hanno mai voluto troppo bene a questa città...

«Che il rapporto fra il governo e la sua capitale cambi rispetto al passato è indispensa­bile. La disponibil­ità ora mostrata da Paolo Gentiloni è stata immediatam­ente riscontrat­a da parte di Virginia Raggi. Penso che con il governo del Paese il governo della città debba confrontar­si in modo maturo».

L’ha detto a Gentiloni? Se non sbagliamo lei ha avuto in passato qualche rapporto.

«Abbiamo lavorato insieme al tempo della giunta di Francesco Rutelli».

Ma ora lei è assessore alla Cultura, e per di più vicesindac­o, in una giunta grillina, nemica del Pd. Qualche imbarazzo?

«La mia storia personale è segnata dalla ricerca di fare politica fuori dei meccanismi dei partiti. Del resto la giunta di Roma, come quella di Torino è composta da persone che hanno sempre avuto una forte indipenden­za di pensiero».

Lei però viene dalla sinistra, e la sua nomina a vicesindac­o è arrivata dopo l’uscita di scena di persone legate invece alla destra. Significa che l’asse della giunta Raggi si sposta a sinistra?

«In questo contesto la dialettica tradiziona­le destra-sinistra è fuorviante. Non penso che la mia nomina sia uno spostament­o d’asse. Continuiam­o a fare quello che facevamo prima. Il tentativo è quello di un cambiament­o radicale».

Come giudica la svolta garantista di Beppe Grillo? Lui dice che è una bufala mediatica, al solito.

«Quando una forza politica diventa forza di governo dotarsi di un codice etico è assolutame­nte sano. I partiti tradiziona­li avevano i probiviri, ricordate? Poi sono scomparsi».

I probiviri di un partito sono un conto. Un signore che giudica da casa sua è un conto ben diverso.

«Ma è un codice equilibrat­o. Che sia stato adottato è importanti­ssimo e positivo».

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(Eidon) La nomina La sindaca di Roma Virginia Raggi, 38 anni, con Luca Bergamo, 55 anni, assessore alla Cultura nominato vicesindac­o il 22 dicembre scorso

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