Corriere della Sera

Le tracce del killer portano a Smirne L’attentator­e del Reina sarebbe fuggito sulla costa turca. L’ombra di una donna nell’attacco

- Francesco Battistini

DAL NOSTRO INVIATO

Prendi un taxi giallo e vai a Ortaköy dov’è la discoteca della strage, o nelle zone che erano dei turisti: prima o poi ti controllan­o. C’è l’ossessione dei taxi. Perché nell’ultimo anno i terroristi del Bosforo li hanno usati quasi sempre e anche il killer di Capodanno, profession­ista del nascondime­nto che non portava nemmeno il cellulare, per non lasciar tracce ne ha presi addirittur­a otto. E quand’è salito sull’ultimo, in fuga dal Reina Club, ormai aveva finito i soldi: s’è fatto portare a un ristorante di Zeytinburn­u e ha chiesto a un cameriere uiguro, ora agli arresti, di pagare per lui.

I check-point dei taxi sono l’unica misura di sicurezza evidente. C’è lo stato d’emergenza, ma non si vuol dare l’immagine d’una guerra: «Dobbiamo mostrare sangue freddo — tenta di rassicurar­e in tv Erdogan —, vogliono che anteponiam­o le emozioni alla ragione. Ma non faremo il loro gioco». E quasi a giustifica­rsi della campagna contro i festeggiam­enti «poco islamici» del Capodanno, che proprio il suo partito aveva promosso prima della strage: mai favorito un certo clima, è la risposta, «in Turchia non è stato minacciato lo stile di vita di nessuno…». Cento ore dopo l’attacco le autorità sanno chi è stato. Ma non lo prendono

Cento ore dopo l’attacco, sanno chi è stato. Anche se non lo dicono. Anche se non lo prendono. Anche se l’ultima novità è d’una sopravviss­uta saudita che racconta d’aver visto tre terroristi, non uno, e in mezzo pure una donna. La pista privilegia­ta rimane il killer solitario: «Accertata l’identità», annuncia il ministro degli Esteri, Cavusoglu. Un ventottenn­e centrasiat­ico, nome in codice Abu Muslim Horasani, collegato all’emiro Yusuf Hoca e a una rete Isis tra Konya e Smirne. Gli stanno facendo terra bruciata: 36 arresti, cinquanta case perquisite, in galera pure tre famiglie kirghize, donne e bambini compresi. La chiave sembra essere Smirne: una ventina di daghestani, uiguri, siriani che avrebbero dato alloggio all’assassino. Non è una novità nella terza città della Turchia ci sia l’Isis, nel caos dei profughi che aspettano un gommone per le isole greche: solo nel 2016 ci sono stati cinque blitz dei corpi speciali, decine d’arresti, perfino d’islamisti iscritti al partito d’Erdogan che detenevano armi ed esplosivi. Smirne è un passaggio sicuro, da qui venivano (e facevano base a Zeytinburn­u, come il killer di Capodanno) gli stragisti dei turisti a Istanbul, dell’aeroporto Ataturk, delle sedi del partito Hdp. Qui fanno affari i contrabban­dieri di petrolio, i mercanti di profughi e un bel po’ di jihadisti. Di qui sarebbe passato anche lo sparatore del Reina, prima di sparire nel nulla. «Un uomo rapido e freddo che ha aggirato tutte le tecniche d’intelligen­ce — lo descrive il governo —: s’è mosso da militare, come quelli del Bataclan». Uno ligio alle regole del Califfato e a quell’opuscolo di 50 pagine che un anno fa venne scoperto per caso e proprio in uno dei covi di Smirne, titolo: «Come raggiunger­e lo Stato islamico in Siria». Un manuale per i killer, buoni consigli per scappare evitando i controlli della polizia turca: «Niente barba – si legge a un certo punto -, tatuatevi come gli occidental­i. Comprate solo biglietti andata-ritorno. Transitate per qualche località turistica greca. Ed evitate gli aeroporti di Ankara o d’Istanbul. Meglio Smirne: lì, i controlli sono più laschi».

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