A ROMA E TORINO PROVE DI CONFLITTO TRA CGIL E GRILLINI
Vale la pena perdere un po’ di tempo per osservare l’evoluzione dei rapporti tra il Movimento 5 Stelle e la Cgil. Entrambe le organizzazioni sono state parte del fronte del No contro Renzi e in caso di approvazione dei tre referendum sul lavoro si troverebbero di nuovo a mobilitarsi sulla stessa lunghezza d’onda, eppure negli ultimi giorni abbiamo assistito a un’escalation di accuse. L’impressione è che nel sindacato si cominci a sentire l’esigenza di marcare la «giusta distanza» dai grillini per allontanare i rischi di cannibalizzazione e di eccessive simpatie della propria base nei confronti di Grillo. Il primo segnale di forte insofferenza si è avuto a conclusione della vicenda Almaviva quando Luigi Di Maio si è schierato a favore dei dipendenti romani licenziati e ha decretato «la fine dell’epoca della rappresentanza». La replica dei sindacalisti è stata veemente, a Di Maio hanno dato sostanzialmente del fascista e la Slc-Cgil lo ha accusato di essere «un parvenu della politica che ha perso il senso della vergogna». Il caso Almaviva è stato solo un prologo perché a distanza di pochissimi giorni è stata la Cgil a sferrare un secondo cazzotto, diretto questa volta a Chiara Appendino, sindaca di Torino, rea di utilizzare i voucher per ingaggiare mediatori culturali alle dipendenze del Comune. Per la Cgil torinese, non solo prima dell’Appendino nessuno aveva mai osato fare una cosa del genere ma la sindaca ha anche trovato il modo di colpire le cooperative del settore sostituendo lavoro precario a lavoro regolare. Fin qui la cronaca, è facile pensare però che il confronto sia solo alle prime battute e che nel sindacato si faccia strada l’idea di vaccinarsi contro il grillismo. Se però Susanna Camusso paragona, come ha fatto, i voucher ai pizzini usati dalla mafia, perlomeno dal punto di vista lessicale sarà difficile scovare la differenza.